Si sono fermati mercoledì 5 ottobre i 2.200 dipendenti dei sei stabilimenti Natuzzi in Puglia e Basilicata. L'astensione dal lavoro è stata di cinque ore e mezzo (la durata è legata all’orario previsto dal contratto di solidarietà), durante le quali si è svolta un’assemblea plenaria a Ginosa (Taranto). La cittadina è stata raggiunta dai lavoratori degli altri stabilimenti con un lungo corteo di auto per sensibilizzare le comunità dei territori interessati, come già avvenuto nel 2012. Altre cinque ore e mezzo di stop sono state proclamate per lunedì 10 ottobre, giorno in cui ci riunirà la cabina di regia presso il ministero dello Sviluppo economico, a Roma. È quanto hanno stabilito le segreterie regionali di Feneal Uil, Filca Cisl e Fillea Cgil dopo la decisione del 26 settembre scorso di mobilitarsi a seguito del comportamento tenuto dall’azienda nel corso del confronto al ministero.

“La rottura della trattativa – spiegano le segreterie nazionali delle tre sigle sindacali - è arrivata dopo che Natuzzi ha rifiutato la proposta delle Regioni Basilicata e Puglia di attivare la cassa integrazione in deroga fino al 30 dicembre 2016 per 330 lavoratori, per i quali, dal 15 ottobre prossimo, non ci sarà più alcun ammortizzatore sociale, condannandoli di fatto al licenziamento. Una vera tragedia sociale in un territorio, quello a cavallo tra le province di Bari, Taranto e Matera, già messo in ginocchio da anni di durissima crisi”. Il 10 ottobre, inoltre, una delegazione di lavoratori darà vita a un presidio all’esterno del ministero, durante lo svolgimento dell’incontro.

Attualmente lo stabilimento di Ginosa è chiuso, Natuzzi intenderebbe riaprirlo entro un paio d'anni reintegrando però solo 104 dipendenti, mentre per gli altri 226 è già stata attivata (dallo scorso 26 luglo) la procedura di licenziamento collettivo. "La scelta di Natuzzi - concludono i sindacati - i cui vertici "negli incontri istituzionali si sono sempre detti d’accordo con i sindacati e con i rappresentanti del ministero sulla necessità di non mandare alcun lavoratore a casa, si prendono ora la responsabilità di una scelta che abbiamo definito sbagliata e ingiusta e contro la quale ci opporremo con tutti i mezzi a nostra disposizione”.