Tornano gli scritti dell'economista keynesiano Hyman Philip Minsky, scomparso nel 1996, secondo il quale, all’uscita dalla crisi deve contribuire una spesa pubblica anticiclica e in disavanzo, che faccia dello Stato un big government, un creatore di posti di lavoro. La tradizionale 'cassetta degli attrezzi' keynesiana non basta. Lo Stato deve pianificare gli investimenti (cosa che il mercato non può fare). Ciò che propone Minsky, è un capitalismo interventista guidato, come spiegano i curatori Riccardo Bellofiore e Laura Pennacchi, fondato su un programma di impiego in progetti utili. Il Piano del lavoro della Cgil avanzato due anni fa (sulla scia di quello delineato nel lontano 1949 da Giuseppe Di Vittorio) muove da premesse analoghe: non basta introdurre elementi di assistenza, non bastano gli ammortizzatori sociali, serve uno Stato capace di creare posti di lavoro. Si tratta della ripresa, radicale ma sempre più necessaria, dell’idea di una socializzazione degli investimenti, estesa non solo a banche e finanze, ma anche al ruolo dello Stato come fornitore primo di occupazione. Solo così supereremo la crisi che ci attanaglia. Tutto questo va controcorrente? Certamente si. Ma proprio qui sta la sfida. Per superare la crisi, dunque, bisogna rilanciare un nuovo intervento pubblico. È questo il senso del saggio di Minsky 'Combattere la povertà, lavoro non assistenza', edizioni Ediesse (collana Saggi, pag. 260, prezzo 15 euro), con un saggio introduttivo e cura di Bellofiore e Pennacchi. Il libro verrà presentato a Roma, martedì 3 febbraio, alle ore 18, presso la Cgil nazionale (Corso Italia, 25, Sala Santi). I curatori ne parleranno con Susanna Camusso, Claudio Gnesutta e Alessandro Roncaglia.