Un documento in sette punti per affrontare l’emergenza profughi e migranti. Lo ha presentato questa mattina la Ces in una grande conferenza che si è svolta oggi (15/6) a Roma a Palazzo Rospigliosi e alla quale hanno partecipato 250 delegati in rappresentanza dei sindacati di tutta Europa. Nel documento, che sarà inviato a tutti gli Stati membri dell’Ue,  la Confederazione dei sindacati europei invoca una politica di asilo europea proattiva; operazioni continue di salvataggio per evitare ulteriori morti in mare; canali  legali sicuri di immigrazione; una revisione del regolamento di Dublino; un sostegno allo sviluppo più efficace nei Paesi d'origine; servizi pubblici adeguati in materia di occupazione e alloggi; centri ben equipaggiati di  accoglienza e di esame delle richieste di asilo. 

I dati, come si sa, sono drammatici. Nel 2016 i richiedenti asilo arrivati via mare in Europa sono stati 208.150 e, sempre nel 2016, oltre 2.800 persone hanno perso la vita in mare cercando di raggiungere il nostro continente. Una tragedia il cui bollettino è ormai quotidiano: questa mattina 140 migranti alla deriva nel Canale di Sicilia, sono stati soccorsi da nave "Bourbon Argos" di Medici senza frontiere. L’Europa, è il parere unanime di tutti i relatori che sono intervenuti, fa molto poco: si muove in ritardo e male. E spesso prevalgono interessi e piccoli, miopi, egoismi.

I lavori – a cui hanno partecipato, tra gli altri, i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Philippe Martinez, leader della Cgt francese e Ignacio Toxo, numero uno delle Ccoo spagnole – sono stati aperti da Luca Visentini, segretario generale Ces, che ha ribadito come “l’inserimento dei rifugiati nel mercato nel lavoro rappresenta una sfida e un’opportunità al tempo stesso”. Anche per questo, i sindacati europei, ha aggiunto, “chiedono più fondi "per i Paesi che accolgono i rifugiati".  Duro il giudizio sull’accordo Ue-Turchia: “Non si possono dare sei milioni a un paese perché si tenga i migranti”. Nel suo intervento, il segretario generale della Ces ha mostrato apprezzamento per il Migration Compact proposto dal governo Renzi, tuttavia, ha attaccato, “né  Renzi né il governo italiano hanno risposto oggi al nostro  invito".

Per Susanna Camusso, “integrazione, investimenti, lavoro, politiche sociali, formazione e solidarietà sono fondamentali", così come “l’istituzione di corridoi umanitari”. Il problema, però, non si limita all’emergenza: “Finché aumentano le diseguaglianze – ha detto –, proseguiranno le migrazioni e le fughe per la sopravvivenza”. Camusso ha chiamato in causa anche le responsabilità dell’Europa, poiché c’è una “forte relazione tra crisi dell'Europa e risposte sbagliate sui rifugiati".  L'Europa, dunque, “deve tornare a occuparsi delle persone, di politiche sociali e investimenti: meno di finanza”. Anche per la sindacalista della Cgil, “l'accordo con la Turchia è sbagliato”.

 

Ha chiamato in causa l’Europa anche Annamaria Furlan, segretario generale della Cisl: "Bisogna cambiare, cambiare profondamente, cambiare l'Europa e riconoscere nei migranti e nei profughi un fratello e una sorella da accogliere. La maggioranza di questi scappano dalla morte certa, dalla morte loro e dei loro  familiari. Quindi è inaccettabile l'atteggiamento europeo". Per Furlan "qualcosa sta cambiando, devo dire che il governo italiano ha dimostrato un'apertura ben diversa rispetto agli altri paesi europei, ma abbiamo bisogno che tutta l'Europa cambi”.

Il leader della Uil, Carmelo Barbagallo, ha messo in relazione il ruolo del sindacato europeo nella battaglia per i diritti di chi “fugge da fame e guerre” e in quella per la ripresa economica e contro l’austerity. Su quest’ultima, la Ces “deve essere più coraggiosa ed eliminare timidezze”. Perché se si cominciano a risolvere i problemi economici di questa Europa, “avremo minori difficoltà a integrare chi viene da fuori”. Barbagallo ha, infine, ironizzato sull’assenza del governo: “Chissà dove si è rifugiato – ha detto – per non venire qui”. Si esce da questa iniziativa con alcune proposte concrete della Ces. Si spera che presto l’Europa degli Stati smetta, come fa spesso, di girarsi dall’altra parte