C'è un grande vuoto nell'informazione italiana, un silenzio assordante che circonda i cinque referendum abrogativi in programma per l’8 e 9 giugno 2025. Sono quesiti che toccano temi fondamentali: il lavoro, i diritti, la cittadinanza. Eppure, i telegiornali, le trasmissioni di approfondimento, i talk politici – perfino il servizio pubblico – li ignorano quasi del tutto. La Rai, in particolare, è finita al centro delle critiche per una copertura praticamente inesistente. I promotori parlano di vera e propria censura.

I quesiti referendari sono promossi in gran parte dalla Cgil e riguardano l’abolizione delle norme sui licenziamenti illegittimi introdotte dal Jobs Act, l’eliminazione del tetto agli indennizzi per chi lavora nelle piccole imprese, la reintroduzione delle causali nei contratti a termine, la responsabilità del committente negli appalti in caso di incidenti sul lavoro, e infine un cambiamento rilevante sulla cittadinanza, per ridurre da dieci a cinque anni il periodo di residenza richiesto. Si tratta di temi che riguardano la vita concreta di milioni di persone e che proprio per questo meriterebbero attenzione, confronto, dibattito.

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E invece nulla. A denunciare per prima il blackout informativo è stata la Cgil, che ha parlato apertamente di “boicottaggio del referendum” e ha avviato una serie di presìdi davanti alle sedi Rai in tutta Italia. A Roma, Bologna, Torino, Napoli e altre città, manifestanti hanno chiesto alla tv pubblica di “rompere il silenzio” e di garantire almeno il minimo sindacale di informazione su una consultazione che, come prevede la Costituzione, è uno degli strumenti fondamentali della partecipazione democratica.

Il problema non è solo l’assenza di contenuti nei palinsesti. Ciò che rende la situazione ancora più grave, secondo i promotori, è che molte persone non sanno nemmeno che si voterà. L’obiettivo è far fallire il quorum, cioè non raggiungere il 50% più uno dei votanti, in modo da rendere nulli i referendum. È questo che denuncia anche il costituzionalista Michele Ainis, secondo cui si sta creando “una distorsione democratica” gravissima: se non se ne parla, il popolo non decide.

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Anche alcune forze politiche sono scese in campo. Il Partito Democratico ha annunciato un’interrogazione in Commissione di vigilanza sulla Rai per chiedere spiegazioni su questa censura strisciante. Benedetto Della Vedova di +Europa ha minacciato azioni legali, parlando esplicitamente di “oscuramento” della consultazione popolare. Intanto, l’Agcom, l’Autorità garante delle comunicazioni, ha preso posizione chiedendo ai media di garantire una copertura “adeguata, pluralista e completa”, ma senza sanzioni o richiami incisivi, la richiesta rischia di restare lettera morta.

Si arriva così a un paradosso. In un Paese in cui ci si lamenta spesso dell’apatia civica, dell’astensionismo, della distanza tra cittadini e politica, quando finalmente si offre alla popolazione la possibilità di decidere su questioni concrete, i canali che dovrebbero informare restano muti. Ma il silenzio non è neutro: è un silenzio che favorisce chi vuole l’astensione, chi teme il giudizio popolare, chi pensa che meno si sappia, meglio è.