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Due uomini, stesso lavoro, stesse mansioni, stessa azienda agricola di Rimini. Uno assunto prima del Jobs Act, l’altro dopo. Entrambi licenziati, poi vedremo perché. I licenziamenti vengono impugnati dal sindacato e poiché l’azienda non li revoca, si finisce in tribunale. I giudici stabiliscono che sono illegittimi, ma le soluzioni e le condanne sono molto diverse.
E indovinate perché? Il primo, quello assunto prima del Jobs Act, ha molte più tutele del secondo. Per questo, gli viene riconosciuto il diritto al reintegro. Eliminare questa disparità di trattamento è proprio l’obiettivo di uno dei quesiti dei referendum promossi dalla Cgil, per cui siamo chiamati a votare l’8 e 9 giugno.
Stesso sopruso, ristori diversi
Al lavoratore meno tutelato è stato applicato quanto previsto dal Jobs Act in caso di licenziamento illegittimo: un risarcimento di sei mensilità di retribuzione, circa 13 mila euro. Al lavoratore più tutelato dopo un iter processuale che è arrivato fino in Cassazione è stato riconosciuto il reintegro e ha potuto scegliere se tornare a occupare il suo originario posto o monetizzare questa possibilità: dopo cinque anni di contenzioso ha scelto di non tornare, ma l’ingiustizia e il torto subiti gli sono stati risarciti con 27 mensilità, 61.400 euro. Un bel ristoro.
Nessun errore
“Nessun errore dei giudici, nessuna discriminazione – racconta Marco Rinaldi, Flai Cgil Emilia Romagna, responsabile settore pesca -. Il diverso trattamento riservato ai due giovani è dovuto al fatto che il Jobs Act ha modificato l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, rendendo più facile liberarsi dei dipendenti ritenuti scomodi. La stessa modifica che il referendum abrogativo proposto dalla Cgil vuole cancellare”.
Abrogare il Jobs Act
L’obiettivo di uno dei cinque quesiti referendari è proprio eliminare le disparità di trattamento tra i lavoratori assunti prima e dopo il 7 marzo 2015 in caso di licenziamento illegittimo. Oggi chi è stato assunto prima di questa data può essere reintegrato, mentre chi è stato assunto dopo ha diritto solo a un indennizzo. L’abrogazione del decreto legislativo n. 23/2015 garantirebbe a tutti lo stesso livello di tutela.
Libertà di licenziare
Il caso dei due lavoratori della pesca, due tunisini, è emblematico. Erano impiegati a tempo indeterminato in un’azienda dell’acquacoltura, allevamento di cozze in mare di fronte alla costa di Cattolica e Gabicce, con condizioni faticose, sicurezza zero, orari prolungati. Insomma, lavoro duro, turni massacranti. I due si sono sindacalizzati, hanno preso la tessera della Flai Cgil, insieme a un terzo collega che era a tempo determinato. Il primo, quello che si è accorto che le condizioni erano irregolari, è stato nominato delegato, rappresentante sindacale aziendale, e ha chiesto di mettere le cose a posto.
Senza motivo
Quando è partita la discussione con l’azienda, dei dieci dipendenti solo i tre sindacalizzati sono stati licenziati. La motivazione? Una scusa: fermare una delle due imbarcazioni per manutenzione. Era l’agosto 2019. Altri due senza la tessera, invece, li hanno ricollocati su un’altra imbarcazione. “Li hanno licenziati perché erano iscritti Cgil e volevano far valere i loro diritti – precisa Rinaldi -. Gli elementi per sostenere il licenziamento punitivo, antisindacale, ritorsivo c’erano tutti. Abbiamo prima provato a parlare con l’azienda, che però è rimasta sorda. Poi il tribunale. E i giudici ci hanno dato ragione”.
La prima sentenza arriva nel 2021, dice che il licenziamento è illegittimo, quindi emerge la differenza di trattamento tra i due lavoratori. Quello assunto col Jobs Act ha diritto solo al risarcimento, quello assunto prima, al reintegro. E così è andata. Il lavoratore con meno tutele ha chiuso prendendo 13 mila euro, per l’altro è stato necessario arrivare in Cassazione, che ha sentenziato a gennaio 2025.
Più giustizia
Senza il Jobc Act il datore ci dovrebbe cento volte prima di liberarsi di un lavoratore. In caso di licenziamento illegittimo, nessun risarcimento economico basta a cancellare il torto subito, ma la possibilità di scegliere se riavere indietro il posto oppure ottenere un risarcimento proporzionato al danno si avvicina di più a un concetto di giustizia. E serve da deterrente contro i licenziamenti fatti senza motivo.