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È inutile, peggiorerebbe la situazione, farebbe tornare indietro i diritti dei lavoratori. I detrattori dei referendum sul lavoro, e in particolare di quello che vuole cancellare il Jobs Act, usano interpretazioni false per screditare le ragioni dei quesiti. Critiche che spesso entrano nel merito con argomentazioni fuorvianti. Roba da far venire il mal di testa soprattutto a chi non è addentro alla materia, e cioè alla maggior parte di noi elettori. Ma cosa c’è di vero? Niente, vediamo perché.
Non si deve guardare al passato
E invece si deve, perché si stava meglio prima. Il primo quesito referendario chiede l’abolizione integrale del decreto legislativo n. 23 del 2015, il cosiddetto Jobs Act. Le persone assunte dopo l’entrata in vigore (il 7 marzo 2015) non sono coperte dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, promulgato esattamente 55 anni fa, quindi sono meno garantite di quelle contrattualizzate prima.
Quante sono? Oltre 3 milioni 500 mila, ma continueranno ovviamente ad aumentare e vivono un’ingiusta disparità. L’obiettivo del referendum quindi non è guardare al passato ma dare più diritti, combattere la precarietà, ricomporre il mondo del lavoro. Vi sembra poco?
Jobs Act & art.18 = stesse tutele
Il referendum sul Jobs Act sarebbe inutile perché le tutele offerte dall’articolo 18 e quelle del Jobs Act, anche con le modifiche contenute nel cosiddetto decreto Dignità e delle sentenze nel frattempo emanate dalla Consulta, sono le stesse. È falso. Per i nuovi assunti (dopo il 7 marzo 2015) in molti casi non c’è la reintegrazione, in particolare nei licenziamenti economici, tranne rare eccezioni.
L’articolo 18 invece ancora oggi prevede come regola tendenziale la reintegra, mentre il Jobs Act si limita a monetizzare con il risarcimento la maggior parte dei licenziamenti illegittimi. Le differenze sono grandi.
Reintegra 1
Licenziamento per motivi economico-organizzativi, cosiddetto giustificato motivo oggettivo. Il Jobs Act non prevede la reintegra ma solo il risarcimento, mentre l’articolo 18 prevede che, eliminata la postazione di lavoro, il lavoratore debba esser ricollocato in un altro posto disponibile. Se questo non succede, il licenziamento illegittimo dà luogo alla reintegra.
Reintegra 2
Licenziamento disciplinare: l’articolo 18 prevede che si debba rispettare quanto previsto dal contratto collettivo di categoria, pena la reintegra. Il Jobs Act, anche dopo l’intervento della Corte Costituzionale, prevede il rispetto del contratto collettivo solo in parte, stabilendo come regola solo il risarcimento quando il Ccnl per il caso contestato non contenga specifiche ipotesi disciplinari che puniscano il comportamento con una sanzione minore, come il rimprovero o il richiamo, la multa o la sospensione.
Reintegra 3
Licenziamenti collettivi. Se vengono violati i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, nell’art. 18 c’è la reintegra, nel Jobs Act solo il risarcimento. Un esempio: se vengono licenziati lavoratori più anziani o con più carico di famiglia al posto dei più giovani che rimangono in servizio. Il paradosso è dietro l’angolo: in presenza di un unico licenziamento collettivo illegittimo per violazione dei criteri di scelta, alcuni lavoratori otterrebbero la reintegra, mentre altri solo il risarcimento.
Con il referendum non si ristabilisce l’articolo 18
Il quesito sul Jobs Act sarebbe inutile perché non ristabilisce l’articolo 18, ma fa tornare le tutele alla legge Fornero, che lo ha modificato: le mensilità di risarcimento riconosciute al lavoratore in caso di licenziamento oggi sono comunque superiori. È falso. Anche nei casi in cui l’articolo 18 prevede il risarcimento, questo è più conveniente rispetto a quanto previsto dal Jobs Act.
E i risarcimenti che i giudici liquidano oggi sulla base del Jobs Act sono molto inferiori rispetto a quelli che spetterebbero se si applicasse l’art. 18, specie per chi non vanta un’anzianità di servizio rilevante.
Risarcimenti
Se il licenziamento è illegittimo, nell’art. 18 il minimo risarcitorio è di 12 mensilità, mentre è di 6 nel Jobs Act. Se il licenziamento è privo di motivazione e quello disciplinare non rispetta la procedura, nell’art. 18 il minimo che si può risarcire è 6 mensilità, nel Jobs Act è solo 2 mensilità.
Non basta. La retribuzione su cui calcolare il risarcimento è diversa ed è più favorevole con l’articolo 18: viene presa a riferimento quella percepita dal lavoratore complessivamente prima del licenziamento, mentre per il Jobs Act vale solo la più limitata retribuzione utile per il Tfr.
Conciliazione
Altro vantaggio in caso di abrogazione del Jobs Act: la reintroduzione di una procedura di conciliazione particolare prevista in caso di licenziamento economico e oggi valida solo per gli assunti prima del 7 marzo 2015. Ai datori con più di 15 dipendenti è vietato procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo senza aver preventivamente attivato un tentativo di conciliazione all’ispettorato del lavoro: il datore deve manifestare, motivandola, l’intenzione di licenziare e solo dopo la comparizione davanti alla commissione di conciliazione, può procedere. Queste garanzie saranno valide per tutti se il Jobs Act verrà cancellato.