I lavoratori poveri in Italia sono sempre di più. A mettere il timbro su una situazione inedita – fino a qualche anno fa avere un’occupazione era quasi sempre garanzia di una vita almeno dignitosa – è arrivata l’Istat col suo Rapporto annuale dello scorso luglio. I lavoratori poveri in Italia sono circa quattro milioni e guadagnano meno di 12 mila euro lordi l’anno. In questa situazione vivono, o cercano di vivere, quasi un terzo di tutti i lavoratori dipendenti. È evidente che col perdurare della guerra – ma anche con la speculazione sui costi dell’energia – questi numeri sono destinati a peggiorare, se gli stipendi rimangono quelli (bassi) e il costo della vita aumenta. 

Ed è proprio ai “Lavoratori poveri” che è dedicato il primo numero del nuovo corso dei Quaderni di Rassegna Sindacale, la storica rivista di approfondimento della Cgil pubblicata da Futura editrice e diretta da Mimmo Carrieri (diventata un quadrimestrale online), che punta ancor più a tenere insieme accuratezza scientifica e facile accessibilità a contenuti che sono in stretto rapporto con quello che accade nell’attualità del mondo del lavoro. Nel nuovo numero, in coda, si può leggere anche un “Confronto” interessante tra varie voci sui temi legati all’insicurezza, alla precarietà e al rischio esclusione sociale per i giovani, tema evidentemente collegato a quello del lavoro povero. 

Di lavoro povero, in realtà si parla molto da qualche mese, ma l’approccio scelto da Qrs è da subito originale. Come scrive nel saggio introduttivo Fabrizio Pirro la scelta è stata quella di declinare il tema non solo su paradigmi economici (come spesso avviene sull’altro grande argomento di questa fase, cioè il salario minimo), “non perché la questione del reddito non sia rilevante, quanto piuttosto perché anche se gli aspetti strettamente economici hanno una indiscutibile importanza, ci sembra però che l’adozione di una qualsivoglia strategia non possa basarsi solo su questo tipo di considerazioni, che riducono la povertà lavorativa al solo aspetto retributivo, confondendo anche lavoro e lavoratori. Quello che cercheremo di argomentare è che, più in generale, la questione del ‘lavoro povero’ attraversa congiuntamente le condizioni e i contenuti del lavoro. Inoltre, essa non dipende solo dalle caratteristiche dell’offerta, ma va vista anche alla luce della presenza sul mercato di occupazioni con bassi salari, con durata intermittente, con scarse possibilità di crescita salariale e professionale. Insomma, la bassa retribuzione risulta essere più un sintomo che la sola patologia in sé”.

L’obiezione che si può fare a questo approccio è scontata: in un mercato del lavoro in cui le occasioni di impiego sono così scarse, porsi il problema della qualità del lavoro non solo dal punto di vista della retribuzione potrebbe sembrare un esercizio ozioso, al limite accademico. In realtà non è così, anzi per Pirro la questione della qualità è la “vera questione”, perché “solo intervenendo su di essa si può evitare in prospettiva un vero e proprio ingabbiamento in una condizione lavorativa a rischio di povertà, senza possibilità di uscita”.

E in effetti il numero di Qrs si muove coerentemente su questa linea. A saggi che scandagliano la dimensione retributiva quantificandola e analizzandola a fondo (per esempio “La questione salariale e occupazionale in Italia. Un contributo alla discussione sul lavoro povero”, di Nicola Giangrande), seguono contributi specifici che analizzano condizioni, aspetti e conseguenze del lavoro povero nei luoghi dove più si manifesta: le piattaforme, la somministrazione, il turismo, il lavoro di cura e sociale.

La parte tematica del numero dei Quaderni si chiude con un’intervista, a cura di Mimmo Carrieri e Paolo Terranova, con due segretarie confederali della Cgil, Francesca Re David e Tania Scacchetti, che provano ad affrontare l’annosa questione del “che fare”, cioè di quale è lo spazio per un’azione sindacale che provi a contrastare il lavoro povero.

Per Scacchetti “un pezzo dell’intervento di contrasto al lavoro povero stia proprio nel ridisegno delle politiche del mercato del lavoro orientato a fare costare di più il lavoro instabile e precario, a regolamentarlo rispetto al suo possibile utilizzo e a trovare delle formule non soltanto legislative ma anche contrattuali di stabilizzazione di una parte degli orari che avvengono nella informalità, provando a superare o quanto a meno a limitare questo fenomeno del part-time involontario. Peraltro è un fenomeno tipicamente femminile e pertanto costituisce in maniera significativa una delle differenze di genere nel mercato del lavoro”.

Per ridurre le dimensioni del lavoro povero, oltre agli interventi di regolazione normativa, è fondamentale anche la contrattazione. Dice Re David: “Un conto è chiedere al Governo, e dobbiamo farlo, di modificare le leggi, e un altro è come far diventare questo elemento prioritario, a supporto delle dinamiche salariali, anche nella contrattazione”. E qui si arriva all’altro tema fondamentale, quello della rappresentanza. Per la sindacalista “è la sfida che abbiamo di fronte perché davanti a uno scenario di impoverimento ognuno tende a pensare per sé”, mentre “per essere efficaci bisogna allargare la nostra capacità di rappresentanza, arrivando a costruire e a generalizzare coordinamenti di sito e di filiera, con l’obiettivo di unire le diverse tipologie di lavoratori e di combattere attivamente le situazioni più disagiate e più precarie”.

Insomma: leggi e contratti, due capitoli su cui il sindacato ha molto da dire e va ascoltato. Insieme a tutto il mondo del lavoro, come ribadito nella recente assemblea delle delegate e dei delegati di Bologna in cui la Cgil ha presentato il suo decalogo.