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Il capolavoro dell’anno arriva in silenzio, come una mancia lasciata sul piattino dopo un caffè annacquato. Tre euro e tredici centesimi al mese. L’epopea delle pensioni minime conosce così il suo nuovo capitolo, un romanzo di microeconomia creativa che celebra lo splendore della povertà gestita con perizia contabile. È l’arte di far passare un’elemosina per una conquista civile, mentre il Paese osserva attonito la trasformazione del bilancio pubblico in una tombola di fine stagione. Eppure c’è chi brinda. Gli assegni sociali maggiorati, figli prediletti di un’altra stagione politica, incassano otto euro oggi e dodici domani, sempre che la geografia dei diritti resti ferma e non si sgretoli nel tragitto tra un paragrafo di legge e l’altro. Platee diverse, dicono. In realtà platee ugualmente disciplinate, come se la dignità potesse essere regolata da un algoritmo che decide chi merita un euro in più e chi resta con il gettone del carrello. Intanto il futuro avanza e pretende il suo tributo. Dal 2027 si lavorerà un po’ più a lungo. Un mese prima, poi due, oltre venti nel 2050, a così la vita somiglia a quelle scale mobili che rallentano appena ci sali sopra, giusto per ricordarti che il benessere è sempre un piano più su. Solo un manipolo di lavoratori gravosi trova riparo. Gli altri restano sul ponte a remare, in attesa della prossima revisione al rialzo della speranza di vita, quella misurata sui grafici e mai sulle schiene curve. Sul versante delle uscite anticipate il sipario cala con crudele eleganza. Quota 103 sparisce, Opzione Donna evapora, sostituita dalla promessa di un emendamento che somiglia a una carezza data col guanto di ferro. Si annuncia il ritorno della flessibilità, ma sembra più un esercizio di yoga normativo che un reale varco verso la libertà. La politica osserva la scena da lontano e finge stupore. Resta l’Ape sociale, baluardo minimo in un teatro che brucia. Eppure la sensazione è che il racconto previdenziale sia ormai una fiaba distorta, con eroi sempre più stanchi e un narratore che insiste a spiegare che tre euro al mese sono un segnale di attenzione. Lo sono, certo. Il segnale che il governo confonde l’economia con la beneficenza e il rispetto con la contabilità spicciola.






















