Dopo aver rivendicato di essere donna, madre e cristiana, ora Giorgia mira a essere giudice, giuria e forse pure Corte costituzionale. Con l’aria di chi compie un atto di devozione, annuncia che la riforma della giustizia è “un traguardo storico”. E mentre lo dice, a piazza Navona parte il trenino tanto caro a Berlusconi, beatificato patrono dei processi a orologeria. Galliani sorride verso il cielo: “Dall’alto Silvio ci guarda e sarà contento”. Di sicuro, da lassù, riconoscerà la mano.

In Senato intanto scoppia l’apoteosi e il ministro Nordio, con la compostezza dell’ex magistrato redento, finge distanza dal giubilo azzurro. Ma la sua soddisfazione è palpabile. Il sogno liberale di ridurre la giustizia a un affare tra avvocati e potere esecutivo è finalmente compiuto. In Italia, ogni volta che si parla di libertà, qualcuno perde un diritto. E stavolta tocca ai cittadini.

Separare le carriere, dicono, servirà a rendere i magistrati più imparziali. Ma la realtà è più meschina, un pubblico ministero che dipende dal governo diventa un funzionario, non un custode della legge. Significa che chi indaga dovrà anche compiacere, che le inchieste sui potenti diventeranno eccezioni da giustificare, che il coraggio processuale avrà bisogno di un permesso scritto.

E così la giustizia non sarà più un potere bensì un servizio. E come ogni servizio, risponderà al cliente che paga il conto, in questo caso la politica. Certo, i cittadini potranno ancora chiedere verità, ma riceveranno in cambio cortesia. I reati dei forti scivoleranno via come acqua su marmo, mentre quelli dei deboli resteranno impressi come macchie d’inchiostro.

In verità questa riforma non divide le carriere, divide l’Italia tra chi potrà dormire sereno e chi sarà processato per aver disturbato il manovratore. La chiamano separazione, ma è un matrimonio perfetto tra potere e impunità, celebrato in Senato e benedetto, dall’alto, dal sorriso complice di Silvio.