Nel 2024 le donne hanno avuto un reddito da lavoro inferiore a quello degli uomini del 24,67%. Questo il dato, sconcertante, diffuso dall’Osservatorio Inps dedicato ai lavoratori dipendenti e indipendenti.

Sempre nell’anno scorso, i maschi rappresentano il 56,2% dei lavoratori dipendenti e indipendenti, presentano un numero medio di settimane lavorate nell'anno pari a 43,7 e un reddito medio annuo da lavoro di 29.236 euro. Per le donne si registrano 42,6 settimane medie lavorate e un reddito medio annuo di 22.023 euro.

Lo stesso Inps sottolinea la profondità del divario, che ancora non si riesce a scalfire davvero. Con queste parole: “Permane quindi un forte gender gap, anche se per le donne nel 2024 il reddito medio annuo da lavoro è cresciuto di più (+2,8%, contro +1,8% degli uomini)”.

In Italia poco meno di 27 milioni di lavoratori

In generale, tra lavoratori dipendenti e indipendenti, complessivamente in Italia l’anno scorso c'erano poco meno di 27 milioni di lavoratori, considerando tutte le gestioni previdenziali Inps. Il numero appare in crescita del +1,4% rispetto al 2023, e del +5,7% se confrontato con il 2019, ossia l’ultimo anno prima del Covid.

Per l’esattezza, chiarisce l’Osservatorio, nel 2024 il numero di lavoratori dipendenti e indipendenti è risultato pari a 26.988.000, circa 362mila in più rispetto al 2023 e 1,4 milioni in più rispetto al 2019. Il numero medio di settimane lavorate nel 2024 risulta in linea con l’anno precedente (43,2 settimane contro 43,3) e superiore a quello del 2019 (pari a 42,9 settimane).

Ghiglione, Cgil: essere donna in Italia cosa caro

“I dati dicono chiaramente che in Italia essere donna continua a costare caro”. Inizia così il commento della segretaria confederale della Cgil, Lara Ghiglione. “Nel 2024 le donne hanno percepito un reddito da lavoro inferiore del 24,67% rispetto a quello degli uomini. Stiamo parlando di una distanza strutturale: 29.236 euro annui per gli uomini, 22.023 per le donne. Settemila euro di differenza ogni anno”.

“E non basta liquidare il tutto con una nota ottimistica sul fatto che il reddito femminile sia cresciuto “un po’ di più” (+2,8% contro +1,8%) – prosegue – . Perché se cresci di più partendo molto più in basso, resti comunque indietro”.

Sulle donne si scarica il lavoro invisibile e gratuito

Il dato sulle settimane lavorate è altrettanto rivelatore: “42,6 settimane per le donne contro 43,7 per gli uomini. Una differenza che evidenzia carriere più frammentate, contratti più precari, interruzioni legate alla maternità e quindi all’assenza di servizi. È il prezzo che le donne pagano a un modello sociale che continua a scaricare su di loro il lavoro invisibile, gratuito, dato per scontato”.

Questo non è un gap “naturale”, secondo Ghiglione: “È il risultato di scelte politiche, organizzative e culturali. È il prodotto di un mercato del lavoro che concentra le donne nei settori meno pagati, che penalizza la maternità, che considera la conciliazione un problema individuale e non una responsabilità collettiva. È il frutto di un sistema che tollera il part-time involontario, le carriere bloccate, il soffitto di cristallo e una cultura del lavoro ancora profondamente maschile”.

Servono contratti stabili e politiche di conciliazione

“Attenzione: il gender pay gap non è solo un problema di salario – a suo avviso –. È un problema di autonomia, di libertà, di potere. Chi guadagna meno dipende di più. Chi dipende di più ha meno possibilità di scegliere, di uscire da relazioni violente, di progettare il proprio futuro, di invecchiare con dignità. Questo divario accompagna le donne per tutta la vita e si trasforma, inevitabilmente in un divario previdenziale. Non possiamo accettare che la disuguaglianza sia la normalità. Perché questi dati non parlano di ‘differenze’, ma di ingiustizie”.

La segretaria ricorda quindi la ricetta da adottare: “Servono contratti stabili, politiche di conciliazione e condivisione vere, a partire dal congedo di paternità paritario, servizi pubblici, trasparenza salariale, contrasto alla segregazione professionale, valorizzazione del lavoro femminile. Bisogna smettere di considerare il lavoro delle donne un di più”.

Ghiglione dunque conclude: “Finché una donna, lavorando, continuerà a valere meno di un uomo, non potremo parlare né di uguaglianza né di crescita reale del Paese. E questi numeri, ancora una volta, ce lo ricordano con brutalità”.