È successo di nuovo. Il premier-time si è trasformato in una seduta spiritica dell’assurdo, dove alla Camera è andata in scena l’ennesima schermaglia tra Elly Schlein e Giorgia Meloni. In mezzo, travolta come un vaso de pora nonna durante una lite coniugale, la sanità pubblica. “Fate macumbe perché le cose vadano male”, ha sbottato la presidente del Consiglio, riuscendo nell’impresa di evocare riti magici in risposta a critiche documentate sullo smantellamento del sistema sanitario nazionale.

Ma qui nessuno lancia sortilegi: si leggono i dati, si sopportano liste d’attesa chilometriche, si paga un ticket per una visita che, con un po’ di fortuna, arriverà l’anno prossimo. I pronto soccorso collassano, i medici abbandonano il pubblico come naufraghi su zattere di carta. Altro che riforme strutturali, l’unico progetto tangibile è la lenta eutanasia del servizio universale, trasformato in una mutua da discount per chi non può permettersi il privato.

Dal governo millantano presunti investimenti, omettendo però il contesto: in rapporto al pil siamo tra gli ultimi in Europa. Intanto, i cittadini affrontano un aumento del 10% delle spese sanitarie di tasca propria. L’altra cosa realmente incrementata è l’indifferenza verso chi non ha alternative al sistema pubblico.

E quando l’opposizione incalza con numeri, responsabilità, fatti, la replica è una danza di spalle scrollate e accuse vaganti: le Regioni, l’Europa, i magistrati, le cavallette. Dicono che la speranza sia l’ultima a morire. Ma forse ha solo preso un appuntamento col Cup e sta ancora aspettando. E mentre aspetta, si chiede: era davvero così difficile curarsi senza pregare, pagare o perire?