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C’è un’arte sopraffina nell’inventarsi semplificatori di professione mentre si lucida l’argenteria dell’ennesima deroga camuffata. Oggi, tra poltrone imbottite e fervori da riformatori improvvisati, si discuterà in consiglio dei ministri il rito del silenzio-assenso, il nuovo oracolo amministrativo che trasforma l’inerzia in atto creativo. La burocrazia immobile smette di rispondere e, per incanto, diventa lungimirante. Un colpo di genio che solo un Paese allenato all’alchimia normativa poteva produrre.
Nel frattempo i territori osservano. Ogni sindaco sa che il silenzio, da noi, non fa rumore perché sta già lavorando per qualcuno. Accelerare non è verbo innocente quando si agita su un suolo che frana e in città che scricchiolano. Eppure eccoci qui, con l’ostinazione di chi vuole credere che la rapidità possa sostituire la competenza, come se l’edilizia fosse un videogioco e il paesaggio un fondale intercambiabile.
Poi c’è la sanatoria per gli abusi storici, i venerabili manufatti che hanno attraversato sessant’anni di commi, leggine e condoni con la fierezza di un monumento allo spirito arrangiato. Ora tornano in scena, candidi come reliquie, pronti a essere perdonati purché mostrino un minimo di ravvedimento strutturale. Un Paese adulto si chiederebbe come mai esistano ancora, il nostro preferisce accarezzarne le rughe.
Sul tavolo compaiono anche i beni culturali, quei soprammobili ingombranti che ostacolano le visioni dei devoti all’escavatore. Riformare le tutele è sempre impresa ardita quando gli appetiti immobiliari respirano più forte delle pietre. La promessa è un equilibrio nuovo che somiglia molto a un vecchio sbilanciamento con fiocco tricolore.
E infine la caccia ai benefici fiscali per chi risulta in regola, promessa scintillante di rigore quasi scandinavo. L’idea che un quadro chiaro possa nascere in un Paese che colleziona eccezioni come francobolli ha un fascino esotico. Forse sarà la volta buona. O forse il silenzio parlerà ancora, con quel tono complice che da decenni accompagna ogni scorciatoia mascherata da riforma.






















