La premier vuole sapere quanto costano gli scioperi. Un’idea bizzarra, ma coerente con un tempo in cui tutto si pesa in denaro: persino il dissenso. Mentre altrove si contano le vittime e i crateri delle bombe, qui si misurano i disagi, si monetizza la rabbia, si quantifica la solidarietà. Giorgia Meloni, la contabile dell’anima nazionale, vuole calcolare la spesa dell’indignazione, il costo orario della coscienza civile, il prezzo al chilo della libertà. Con tanto di scontrino fiscale da mostrare agli italiani, come se il diritto alla protesta fosse un vizio di lusso.

Attorno al tavolo del Consiglio dei ministri, mentre Salvini sogna cauzioni per chi sciopera e multe da diecimila euro per chi alza troppo la voce, l’Italia affonda nel grottesco. Ci si preoccupa dei treni fermi (mi limito a non fare battute facili), non dei morti in mare. Si contano i container bloccati, ma non le vite sospese tra un missile e l’altro. Il problema, per loro, non è che si protesti, è che qualcuno, ancora, abbia qualcosa da dire.

La trovata della “spiegazione agli italiani” fa ridere, se non fosse tragica. Perché il messaggio è un fendente tra i denti: chi sciopera danneggia il Paese. E dunque, logica vuole, chi tace lo salva. È la partita doppia del nuovo autoritarismo in giacca e tailleur: repressione a debito, propaganda a credito. Tutto torna nei conti, tranne il buonsenso.

Nel frattempo Landini diventa, suo malgrado, il nemico pubblico numero uno. Non per le piattaforme rivendicative, ma perché ricorda che il lavoro non è un ingranaggio e il silenzio non è un dovere. A Palazzo Chigi lo osservano con l’attenzione che si riserva ai pericolosi idealisti, quelli che credono ancora che la democrazia non si misura in miliardi ma in battiti.

E allora, cara premier, provi pure a stimare il costo degli scioperi. Ma non dimentichi di mettere in bilancio la paura dei cittadini, la rassegnazione, la fatica di chi non crede più che serva protestare. È lì che si nasconde il vero disavanzo nazionale, nell’indifferenza che conviene al potere più di qualunque sciopero, perché non interrompe nulla. Neanche il sonno dei governanti.