Nel Paese in cui i treni non arrivano in orario ma gli sgomberi sì, il governo celebra con entusiasmo l’approvazione del Decreto Sicurezza. Meloni trionfa sui social: si difendono i “proprietari onesti”, si combattono “le truffe agli anziani”. Il tutto condito da toni epici e patriottici, come se avessero appena liberato Vienna dai Turchi. In realtà, l’unica cosa che liberano sono gli stabili occupati da poveri cristi, per riconsegnarli a speculatori immobiliari con lo sguardo da crocerossini del mattone.

C’è una retorica inquietante nella gioia con cui si celebrano le ruspe: la legalità non è più uno strumento, ma un feticcio. “Acceleriamo gli sgomberi”, annuncia l’esecutivo, come se la rapidità con cui si caccia una famiglia per strada fosse segno di civiltà. Nessuna traccia di proposte per soluzioni abitative o reinserimento: solo ordine, disciplina e porte sbarrate. Nella Repubblica dell’Algoritmo e del moralismo da talk show, il diritto supremo è possedere.

E quando finiscono le case, si passa ai corpi. Il decreto potenzia le forze dell’ordine, come se fossero finora disarmate. “Difendere chi difende”, proclamano, fingendo di vivere in un Far West infestato da fuorilegge, mentre a pagare sono sempre gli stessi: poveri, migranti, lavoratori, studenti, senzatetto. L’insicurezza si gestisce col manganello non col welfare.

E poi l’acuto finale: “Legalità e sicurezza sono pilastri della libertà”. Ma guarda un po’. È solo un caso, allora, che quei pilastri crollino sempre sulle teste dei più deboli. Deve essere l’architettura liberale: antisismica per i forti, letale per chi vive al piano terra della società.

Ma non temete, il nemico è stato individuato. Non è la precarietà né la povertà. È quel materasso per terra in un palazzo abbandonato. E contro di lui, finalmente, lo Stato ha trovato il coraggio.