Dalle Dolomiti alla spiaggia di Mondello, passando per il casello dell'A1 intasato e il check-in Ryanair a sorpresa, l’estate italiana si dispiega tra valigie piene di ciabatte e portafogli sempre più leggeri. Altro che dolce vita: oggi le ferie somigliano a un miracolo contabile. Con i salari che arrancano e i prezzi che corrono come Marcell Jacobs, partire diventa un atto di resistenza, più che un lusso. Ma guai a lamentarsi, il pil è in crescita. Di chi, non si sa.

Quest’anno, tra una tassa su tutto ciò che si muove e un dazio pure sul chinotto, il governo ci rassicura: la nazione è forte, sovrana e con l’ombrellone numerato. Poco importa se gli italiani si dividono tra chi ha prenotato dodici mesi fa e chi sta valutando la piscina gonfiabile in cortile. Intanto, i rincari balneari fanno rimpiangere i tempi in cui un ghiacciolo costava meno di un’autocertificazione.

La precarietà, come le zanzare, non va in ferie. Anzi, si mimetizza bene tra i contratti a chiamata da bagnino e le stagioni turistiche che durano meno di un governo tecnico. Chi lavora spera in una mancia, chi non lavora spera nel reddito d’invenzione, ormai abolito ma evocato nei talk show come la fata turchina.

Eppure, l’estate resta l’ultimo scampolo di tregua collettiva. Si fugge dal grigiore delle agenzie interinali e delle bollette a tre zeri per sognare anche solo una sedia da campeggio vista mare. Lo si fa con ironia, con una focaccia nello zaino e il wi-fi del vicino. Perché se la sovranità è limitata, la voglia di staccare resta una bandiera ancora tutta da sventolare.

Buone vacanze, dunque. Ma attenti al meteo e alle promesse elettorali: entrambi cambiano con inquietante regolarità, ogni tre giorni o meno, spesso senza preavviso, con temporali improvvisi, schiarite illusorie e nessuna app affidabile in grado di prevedere davvero dove colpiranno.