“Oggi, mentre una folla di italiani e di amici francesi accompagneranno al Père-Lachaise i Martiri Rosselli, La Voce degli Italiani, il quotidiano che l’Unione Popolare Italiana e l’Associazione ex - combattenti hanno voluto creare, vedrà la luce per la prima volta e dirà agli italiani la parola della lotta per far trionfare la causa della libertà”. Lo scriveva il 17 giugno 1937 (postdatato al 19, nell’uso dei settimanali) il periodico del Partito comunista d’Italia in esilio “Il Grido del Popolo”. Era un giornale del popolo al servizio del popolo, il punto di riferimento per l’emigrazione politica e di lavoro degli italiani in Francia nella seconda metà degli anni Trenta del Novecento, diretto da Giuseppe Di Vittorio.

“Di Vittorio - scrive Adolfo Pepe - (…) accompagnava sempre il lavoro redazionale e giornalistico con la trasmissione ai propri lettori emigrati di una funzione di mobilitazione oltre che di preparazione e di formazione che il giornale doveva svolgere, quasi una forma particolare di attività politica che riprendeva le modalità di azione e di proselitismo dell’associazionismo delle leghe bracciantili e il funzionamento della comunicazione delle Camere del Lavoro meridionali dell’età liberale. (…) Attraverso il giornale sollecitava i nostri lavoratori a interessarsi attivamente dell’esperienza politica e sindacale francese così da favorire l’inserimento degli italiani nel non sempre facile mondo lavorativo francese e facendo cadere i pregiudizi linguistici, politici, culturali che da quel mondo provenivano verso gli immigrati italiani”.

Perseguendo questo obiettivo il giornale dedicava particolare attenzione a quanto avveniva nelle complesse vicende del Fronte popolare, soprattutto nel duro scontro politico e sociale sulle riforme che avevano al centro il lavoro, i suoi diritti, le sue forme di lotta, le sue rivendicazioni. “Una lezione esemplare - afferma ancora Pepe - per il dirigente sindacale. Dall’aspro conflitto sociale che attraversa la Francia del Fronte popolare, caratterizzato dal difficile rapporto tra mondo del lavoro e governo di sinistra, trarrà il paradigma fondamentale a cui ispirare la sua leadership politico-sindacale, la sua impostazione riformatrice, la sua concezione del valore primario dell’autonomia del sindacato e degli interessi dei lavoratori anche nel rapporto con i partiti, con le istituzioni pubbliche e con il Governo”.

Dalle colonne del quotidiano, Di Vittorio si impegna strenuamente nella battaglia per l’approvazione in Francia dello Statuto giuridico degli immigrati e per il riconoscimento del diritto d’asilo ai rifugiati. Si espone con gli articoli in difesa della pace (“Fascismo significa guerra”) e contro gli orrori delle condanne del tribunale speciale fascista, distinguendosi tra i primi a denunciare la politica razzista del fascismo e la persecuzione contro gli ebrei in due articoli pubblicati nel settembre 1938.

“È naturale - vi scriveva nel 1938 - che i giovani amino la pace, la libertà, il progresso, poiché soltanto nella pace e nella libertà il giovane vive, impara, si educa, si sviluppa e si forgia una propria personalità, premessa indispensabile nella lotta per una vita collettiva più degna e migliore (…) Un giovane isolato che viva quasi esclusivamente nell'ambito della famiglia, del lavoro o della scuola, è un giovane infelice, il cui orizzonte è limitato, le cui nozioni saranno pure limitate, come il senso della sua responsabilità e della sua personalità. Nella vita collettiva fra molti giovani, in una collettività così libera e così corrispondente ai bisogni dei giovani come quella che sorgerà a Villeurbanne (per il 1° Congresso della gioventù italiana emigrata in Francia), il giovane ha modo di divertirsi santamente, d'istruirsi, di arricchire le proprie nozioni, di affinare la propria intelligenza, di sviluppare la propria educazione e la propria istruzione. Dico questo per esperienza diretta. Quando io ero un giovane operaio agricolo isolato, vivevo in uno stato d'ignoranza assoluta del mondo. Avevo appreso il mio mestiere e le bestemmie ed i vizi dei miei compagni di lavoro adulti. Quando fondammo, al mio paese, il nostro circolo giovanile, il contatto con giovani più istruiti, che avevano altre nozioni che io ignoravo, mi aprì una nuova vita, suscitò in me il gusto e poi il bisogno della lettura, dell'istruzione, della cultura. Ed io mi sentivo più felice”.