Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta il Sud dell’Italia è attraversato da diversi movimenti di rivendicazione sociale. Le organizzazioni di estrema destra rispondono a questa ondata di protesta da un lato con una serie di attentati dinamitardi (il 22 luglio 1970 a Gioia Tauro una bomba fa deragliare il treno Freccia del Sud provocando 6 morti e 54 feriti; il 4 febbraio 1971 viene lanciata una bomba contro un corteo antifascista a Catanzaro), dall’altro tentando di accreditarsi al grido di "Boia chi molla" come rappresentanti degli interessi della popolazione in lotta.

Dal luglio 1970 al febbraio 1971 una serie di sommosse interessano Reggio Calabria anche in seguito alla decisione di collocare il capoluogo di regione a Catanzaro nel quadro dell’istituzione degli enti regionali.

Il 9 agosto 1970 Pietro Ingrao tiene nella città un comizio in Piazza Italia, ma viene contestato dalla folla, riuscendo a stento a concludere. Intanto l’emittente clandestina Radio Reggio Libera diffonde il seguente proclama: “Reggini! Calabresi! Italiani! Questa è la prima trasmissione di radio Reggio Libera. La battaglia contro l’ipocrisia e lo strapotere della mafia politica e dei baroni rossi riguarda l’avvenire di tutti gli italiani. Essa cesserà solo alla vittoria con l’instaurazione di una vera democrazia. Viva Reggio capoluogo! Viva la nostra Calabria! Viva la nuova Italia!”.

Per mesi la città sarà barricata, a tratti paralizzata. Una guerra civile durata mesi, con scontri, barricate, attentati, bombe, morti e feriti. Alla fine della rivolta si conteranno 11 morti tra manifestanti e forze di polizia La calma verrà ristabilita solo dopo circa 8 mesi di assedio con l’inquietante immagine dei mezzi cingolati sul lungomare della città.

“A febbraio del 1971 - riporta Francesco Alì - per sedare la rivolta, il presidente del Consiglio, Emilio Colombo (esponente di spicco della Dc), portava in Parlamento il cosiddetto Pacchetto per la Calabria o Pacchetto Colombo. Con esso, arrivò anche una suddivisione fantasiosa e originale delle sedi e della collocazione del potere politico-istituzionale nella Regione: giunta a Catanzaro, consiglio a Reggio Calabria, università a Cosenza”.

Ciccio Franco sarà eletto al Senato nel 1972 con quasi 44 mila voti (il 37% nel collegio di Reggio). Nello stesso anno, in ottobre, i sindacati metalmeccanici di Cgil, Cisl e Uil (insieme ai sindacati degli edili e alla Federbraccianti Cgil) organizzeranno una grande manifestazione di solidarietà a fianco dei lavoratori calabresi.

La manifestazione indetta per il 22 ottobre 1972, fortemente voluta da Bruno Trentin, Pierre Carniti e Giorgio Benvenuto (insieme a loro sono in città Luciano Lama e Rinaldo Scheda, alla guida degli edili Cgil c’è Claudio Truffi, a capo della Federbraccianti Feliciano Rossitto) è preceduta da una Conferenza sul Mezzogiorno, alla quale partecipano anche Alfredo Reichlin e Pietro Ingrao, che ritorna - questa volta senza alcuna contestazione - a Reggio.

Cinquantamila lavoratori arrivano in Calabria da ogni dove per dire che la strada della rinascita non può e non deve essere quella tracciata dalla destra, che la strada per la rinascita può e deve essere un’altra; che è innanzitutto grazie alle forze del lavoro, alla loro unità, che la questione meridionale può trovare una risposta.

I neofascisti tenteranno di impedire l’arrivo dei manifestanti con una serie di attentati nella notte tra il 21 e il 22 ottobre. Nonostante i tentativi criminosi (già a partire dal 15 ottobre, erano avvenuti nella città una serie di attentati a danno della sede della Uil, di una sede del Pci, di una sede del Psi e di alcuni edifici pubblici), 50 mila persone riescono a raggiungere - anche se in tempi diversi - Reggio Calabria.

I primi pullman cominciano ad arrivare al mattino presto, nella notte atterrano due aerei - uno da Trieste e l’altro dalla Sardegna -, da Genova e da Napoli approdano due navi, anche i treni in serata riescono a raggiungere la stazione.

Sulla nave noleggiata dai 1.000 operai dell’Ansaldo c’è anche un giovanissimo Mauro Passalacqua (già segretario della Cgil di Genova) che racconterà anni dopo a Rassegna Sindacale: “Fu un viaggio faticoso: incontrammo a un certo punto il mare forza 7. Comunque entusiasmante: giovani, passione, e molti ancora a rimuginare sulle discussioni che avevano preceduto la partenza; noi che volevamo portarci solo le bandiere rosse, i nostri dirigenti, in gran parte ex partigiani, a dirci di no, che ci doveva essere anche il tricolore: ‘Perché lo volete regalare ai fascisti? L’avevano buttato nel fango, siamo stati noi a risollevarlo’. Non eravamo del tutto convinti, capimmo presto che avevano ragione loro”.

Intorno alle 11 il corteo è pronto per partire. La notizia delle bombe lungo la ferrovia passa di bocca in bocca. Ci sono molti fascisti in giro. Braccia tese, saluti romani, dalle vie laterali piovono pietre.

“I fascisti - riporterà l’Unità - avevano 'invitato', in vari modi, la popolazione a non uscire nelle strade, a tenere ben chiuse le finestre delle abitazioni, i negozi. Così non è avvenuto. La popolazione di Reggio non si è fatta trascinare in pericolose avventure. La gente era nelle strade (…) Dalle finestre e dai balconi guardavano passare il corteo. In molti punti del percorso ci sono state manifestazioni di aperta simpatia”.

All’inizio tutto sembra immobile, sospeso. A rompere gli indugi sono gli operai dell’Omeca, la fabbrica di Reggio ferita nella notte da una bomba. “Voi ve ne andate, noi restiamo qui. Se non la facciamo oggi, la manifestazione, non la facciamo più”, dice qualcuno. Così, ancora una volta con gli operai e gli ex partigiani in testa come a Genova poco più di dieci anni prima, il corteo comincia ad avanzare.

“E alla sera Reggio era trasformata - canterà Giovanna Marini -, pareva una giornata di mercato, quanti abbracci e quanta commozione, il Nord è arrivato nel Meridione. E alla sera Reggio era trasformata, pareva una giornata di mercato, quanti abbracci e quanta commozione, gli operai hanno dato una dimostrazione”.

Dirà Pierre Carniti in un affollatissimo comizio: “Quel treno che portava via gli emigranti… non volevano consentire che tornasse per farli partecipare a questa grande manifestazione. Siamo in presenza, amici e compagni, e non la sottovalutiamo affatto, siamo in presenza di una criminalità organizzata, che è anche indicativa, però, del suo isolamento. Si tratta di gente disperata, perché ha capito che l’iniziativa di lotta dei lavoratori, di questa stessa manifestazione sindacale, rappresenta un colpo durissimo".

E ancora: "Ecco perché reagiscono con rabbia, reagiscono con disperazione. E oggi, come cinquant’anni fa, questa reazione conferma che il fascismo con il manganello e il tritolo è al servizio dei padroni e degli agrari contro i lavoratori e contro il proletariato. Ma dunque compagni, debbono sapere che non siamo nel ‘22 e che la classe operaia, le masse popolari, le forze politiche democratiche hanno la forza e i mezzi per difendere le istituzioni democratiche dall’attacco e dall’aggressione fascista. E ciascuno farà la sua parte in questa direzione. Oggi non sono calati a Reggio, amici e compagni di Reggio, i barbari del Nord, ma con gli impiegati e con gli operai del Nord sono tornati a Reggio i meridionali!”.

Aggiungerà Bruno Trentin: “Io comprendo benissimo le bombe contro i treni, a Reggio, in quanto Reggio Calabria ha significato un momento di svolta: non solo per quella grande manifestazione sindacale, ma perché da lì è partito anche un impegno diverso del mondo sindacale rispetto alle masse di lavoratori e anche alle masse di disoccupati del Mezzogiorno. I fascisti hanno colto giustamente, secondo me, il pericolo che si profilava”.

“Gli attentati compiti stanotte su larga scala (…) contro i convogli di lavoratori diretti a Reggio Calabria - ribadiva quel giorno l’Unità - sono gesti di bestiale e organizzata criminalità. Vi sono molti feriti, è stata sfiorata una strage atroce. Certo, ciò conferma che questa gente è disperata. La grande dimostrazione di unità e di forza operaia e democratica espresso dalla Conferenza nazionale indetta dai sindacati a Reggio, nel segno dello sviluppo del Mezzogiorno, ha rappresentato un colpo durissimo per le nere trame eversive. Costoro sentono il proprio isolamento crescente, sentono di essere irrevocabilmente tagliati fuori dalle masse, nel Mezzogiorno e in tutto il Paese. Perciò danno sfogo alla loro abbietta ferocia. Le forze del progresso, della democrazia, dell’antifascismo militante sono immense, in Italia, e sono tali da sconfiggere tutti i nemici della Repubblica. Resta la colpa gravissima di chi, avendo responsabilità di governo, ha lasciato spazio ai gruppi e alle organizzazioni che apertamente si richiamano al fascismo e ai suoi metodi terroristici. Di tali vergognose tolleranze si dovrà naturalmente rendere conto”.

"Nord e Sud uniti nella lotta", si legge sul quotidiano il giorno successivo. "Reggio sì, fascismo no", "Viva Reggio democratica": un grido unico di decine di migliaia di voci risonanti per ore e ore nelle strade e nelle piazze della città. Un grido unico di oltre 60 mila uomini, donne e giovani, venuti a manifestare la ferma volontà di lotta per la rinascita e lo sviluppo del Mezzogiorno. (…) A Reggio, dunque, sono venuti i braccianti, i contadini, gli operai delle poche fabbriche che sorgono nelle regioni meridionali, gli edili e tanta gente del Sud: il popolo del Sud che da tanti anni soffre e si batte, che non ha mai piegato la testa, unito alla classe operaia delle zone industriali, con i braccianti e i contadini dell’Emilia e del Veneto, con i lavoratori dell’Italia centrale (…) Uomini e donne con le facce scavate dalla fatica di un lavoro, quando si trova, sempre mal pagato. Anziane donne con in testa i fazzoletti neri che camminavano tenendo per mano i figli dei loro figli che sono dovuti emigrare, vecchi braccianti con il volto scuro bruciato dal sole. Portavano le bandiere logorate dal tempo. Che parlavano di tante lotte”.

“Mentre iniziano i comizi - prosegue il racconto - arrivano ancora lavoratori. Arrivano ancora treni. Arriva la classe operaia del Nord. Arrivano centinaia e centinaia di lavoratori romani. Le bandiere sventolano mosse dal forte vento. Fa freddo. E’ ormai pomeriggio avanzato. Tutti sono stanchi. I viaggi sono stati massacranti. Ma nessuno si muove. La grande manifestazione di popolo va avanti per ore e ore con il solito entusiasmo, la solita combattività. Arrivano di nuovo i treni e riversano sulla piazza che è proprio davanti alla stazione nuove migliaia di persone. Le bandiere si fanno sempre più fitte. I colori della piazza, a pochi passi dal mare, ancora più belli”.

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