Il 5 luglio 1960 a Licata, in provincia di Agrigento, durante una manifestazione unitaria di braccianti e operai, polizia e carabinieri caricano e sparano contro il corteo guidato dal sindaco Dc Castelli uccidendo Vincenzo Napoli che, si racconta, cercava di difendere un bambino tenuto fermo a un muro e picchiato dai celerini. I licatesi erano scesi in piazza per protestare contro la cronica mancanza di acqua, oltre che per richiedere condizioni economiche migliori. Una manifestazione operaia e popolare contro il carovita, contro la gravissima crisi economica, per il lavoro, la terra, il pane, contro il governo Tambroni.

"I mitra crepitarono e poi fu la tragedia", riporterà L’Ora. La polizia spara a L icata: un giovane ucciso e decine di feriti, titolerà l’Unità il giorno successivo, riportando anche la notizia di un appuntamento romano. “Questo pomeriggio - recita il quotidiano - alle ore 19, a Porta San Paolo, si svolgerà il comizio antifascista indetto dal Consiglio federativo della Resistenza, al quale aderiscono il Partito repubblicano, il Partito socialista, il Partito comunista, il Partito radicale, la Camera del lavoro, l’Unione donne italiane, l’Anpi, la Fiap, l’Anppia e l’Associazione nazionale ex deportati politici nei campi nazisti. (…) Parteciperà alla manifestazione l’on. Arrigo Boldrini, che ieri - come diamo notizia in questa stessa pagina - è stato fatto segno ad un canagliesco attentato fascista”.

In realtà l’autorizzazione sarà negata (venuti a conoscenza dell’arbitraria decisione della Questura di revocare il comizio antifascista indetto a San Paolo, numerosi esponenti della cultura e dell’arte delibereranno un ordine del giorno di protesta contro il grave provvedimento: tra i firmatari Luchino Visconti, Alberto Moravia, Carlo Levi, Sergio Amidei, Corrado Cagli, Arrigo Benedetti, Lorenzo Vespignani, Renato Guttuso, Pierpaolo Pasolini, Giuseppe De Santis, Ranuccio Bianchi Bandinelli, Antonello Trombadori, Mario Pannunzio, Carlo Lizzani, Marcello Conversi, Marcello Cini, Giorgio Salvini, Vasco Pratolini).

Intanto i parlamentari comunisti chiedono lo scioglimento del Movimento sociale. “A Licata - dirà Ingrao alla Camera il 7 - vi è stato un morto (…) Vi sono stati i morti perché si è sparato. Voi siete tornati oggi a percorrere l’infausta, tragica strada delle sparatorie, delle uccisioni e del sangue. Siete tornati a ripercorrere la strada degli interventi illegali nelle vertenze del lavoro, forse per proteggere meglio quei profitti del padronato italiano che suscitano lo scandalo perfino dei conservatori degli altri paesi. Le cose (…) che si stanno verificando in Italia denotano un metodo indegno, che disonora il nostro paese e non può essere accettato in una nazione democratica, retta da una Costituzione che riconosce legittimo il comizio, la protesta di massa, la manifestazione di piazza, lo sciopero politico . Si tratta di un metodo indegno per un paese che ha realizzato le sue conquiste democratiche combattendo proprio contro il fascismo. Quelle conquiste non sono soltanto nostre, ma anche vostre”.

“Onorevole Spataro - proseguiva il deputato comunista - a Licata vi è stato un morto. Sa da chi era diretto il corteo di Licata? Da un sindaco democristiano. Ecco la realtà. I giornali governativi gridano contro questa unità che si è manifestata a Genova, a Roma e altrove. Ma vi siete posti mai il problema, vi siete mai domandati: come nasce questa unità che si sta sviluppando in un moto così impetuoso, per cui i comunisti, socialisti, socialdemocratici, oggi accantonano una serie di polemiche, di divergenze, o le superano, per ritrovarsi nella lotta, in quel modo come ci siamo ritrovati? Ecco la questione a cui bisogna rispondere Veda, onorevole Spataro: quella unità, vi piaccia o non vi piaccia, non è solo un’unità contro il passato, contro la riesumazione del passato, contro l’inserimento del Movimento sociale italiano nella maggioranza governativa che voi avete favorito. No, è qualcos’altro ancora: è l’unità per qualche cosa che monta e sta montando nel paese, ed è la volontà che la Costituzione del nostro paese non sia un pezzo di carta, ma cominci a diventare un a realtà” .

“Qui vi sono uomini di ogni fede politica e di ogni ceto sociale - aveva già detto Sandro Pertini pochi giorni prima a Genova - spesso tra loro in contrasto, come peraltro vuole la democrazia. Ma questi uomini hanno saputo oggi, e sapranno domani, superare tutte le differenziazioni politiche per unirsi come quando l’8 settembre la Patria chiamò a raccolta i figli minori, perché la riscattassero dall’infamia fascista. A voi che ci guardate con ostilità, nulla dicono queste spontanee manifestazioni di popolo? Nulla vi dice questa improvvisa ricostituita unità delle forze della Resistenza? Essa costituisce la più valida diga contro le forze della reazione, contro ogni avventura fascista e rappresenta un monito severo per tutti. Non vi riuscì il fascismo, non vi riuscirono i nazisti, non ci riuscirete voi”. Non ci riusciranno, ma torneranno a colpire.  E a uccidere. A Roma, il giorno successivo, e poi ancora a Reggio Emilia, a Catania e a Palermo.