Ernesto Guevara de la Serna nasce a Rosario il 14 giugno 1928 (o almeno questa è la data ufficiale riportata dal certificato di nascita). All'inizio era semplicemente Ernesto, poi a Cuba divenne il Che, la leggenda della rivoluzione. “Da argentino - racconterà Fidel Castro - aveva l’abitudine di rivolgersi agli altri con la locuzione che, e così iniziammo a chiamarlo noi cubani”.

Dopo la laurea in medicina nel 1953 il giovane Ernesto decide di intraprendere un viaggio attraverso i diversi Paesi dell’America Latina. È a Città del Messico che conosce Fidel Castro. I suoi racconti lo faranno appassionare moltissimo alla vicenda cubana tanto da farlo aderire al Movimento 26 luglio.

“Quando si unì a noi in Messico - ricorderà lo stesso Fidel - pose solo una condizione: ‘L’unica cosa che voglio quando la rivoluzione avrà trionfato, e io me ne vorrò andare a combattere in Argentina, è che non mi si precluda questa possibilità. Che non ci sia ragion di Stato a impedirmelo’. Io glielo promisi. Nessuno sapeva, all’epoca, se avremmo vinto la guerra e chi sarebbe rimasto vivo”.

Il Che ha una posizione di primissimo piano nel gruppo dirigente rivoluzionario: prima presidente del Banco nacional (1959), poi ministro dell’Industria (1961), compie numerosi viaggi in Africa e in America Latina diventando il simbolo della rivoluzione cubana nel mondo. Ma il suo posto è altrove, a capo di altre rivoluzioni.

Dopo un lungo viaggio in Africa, nel marzo 1965 fa ritorno all’Avana e si dimette da tutte le cariche istituzionali. Scrive ai genitori: “Riprendo la strada, scudo al braccio (…) Credo nella lotta armata come unica soluzione per i popoli che vogliono liberarsi”.

Negli ultimi mesi del 1966 è in Bolivia per organizzare un’insurrezione popolare, ma nell’ottobre del 1967 viene catturato e ucciso. Muore l’uomo, nasce la leggenda.

“Qualsiasi cosa cerchi di scrivere per esprimere la mia ammirazione per Ernesto Che Guevara, per come visse e per come morì, mi pare fuori tono”, scriverà Italo Calvino: “Sento la sua risata che mi risponde, piena d’ironia e di commiserazione. Io sono qui, seduto nel mio studio, tra i miei libri, nella finta pace e finta prosperità dell’Europa, dedico un breve intervallo del mio lavoro a scrivere, senza alcun rischio, d’un uomo che ha voluto assumersi tutti i rischi, che non ha accettato la finzione d’una pace provvisoria, un uomo che chiedeva a sé e agli altri il massimo spirito di sacrificio, convinto che ogni risparmio di sacrifici oggi si pagherà domani con una somma di sacrifici ancor maggiori”.

Continua lo scrittore italiano: “Guevara è per noi questo richiamo alla gravità assoluta di tutto ciò che riguarda la rivoluzione e l’avvenire del mondo, questa critica radicale a ogni gesto che serva soltanto a mettere a posto le nostre coscienze. In questo senso egli resterà al centro delle nostre discussioni e dei nostri pensieri, così ieri da vivo come oggi da morto. È una presenza che non chiede a noi né consensi superficiali né atti di omaggio formali; essi equivarrebbero a misconoscere, a minimizzare l’estremo rigore della sua lezione”.

“La ‘linea del Che’ esige molto dagli uomini”, prosegue Calvino: “Esige molto sia come metodo di lotta sia come prospettiva della società che deve nascere dalla lotta. Di fronte a tanta coerenza e coraggio nel portare alle ultime conseguenze un pensiero e una vita, mostriamoci innanzitutto modesti e sinceri, coscienti di quello che la ‘linea del Che’ vuol dire - una trasformazione radicale non solo della società ma della ‘natura umana’, a cominciare da noi stessi - e coscienti di che cosa ci separa dal metterla in pratica. La discussione di Guevara con tutti quelli che lo avvicinarono, la lunga discussione che per la sua non lunga vita (discussione-azione, discussione senz’abbandonare mai il fucile), non sarà interrotta dalla morte, continuerà ad allargarsi”.

Calvino così conclude: “Anche per un interlocutore occasionale e sconosciuto (come potevo esser io, in un gruppo d’invitati, un pomeriggio del 1964, nel suo ufficio del ministero dell’Industria) il suo incontro non poteva restare un episodio marginale. Le discussioni che contano sono quelle che continuano poi silenziosamente, nel pensiero. Nella mia mente la discussione col Che è continuata per tutti questi anni, e più il tempo passava più lui aveva ragione. Anche adesso, morendo nel mettere in moto una lotta che non si fermerà, egli continua ad avere sempre ragione”.