MILANO - Uber, Foodora o Deliveroo li conosciamo già. L’incrocio online tra domanda e offerta consente alle nuove multinazionali di garantire prezzi stracciati con tutte le contraddizioni legate alla cosiddetta gig economy, l’economia dei lavoretti. Esistono però applicazioni simili, sebbene meno note, che partendo dallo stesso presupposto hanno un altro fine, cioè fronteggiare il tracollo del welfare tradizionale mettendo in rete le persone, dal basso. Un esempio è open care (cura aperta), idea nata a Milano dove un fablab, WeMake, insieme al Comune e a semplici cittadini sta mettendo in atto soluzioni condivise per il benessere delle persone. “Nel nostro laboratorio digitale – spiega una delle animatrici del progetto, Cristina Martellosio – tutti possono usare le nuove tecnologie, è una vera comunità di apprendimento permanente. E tra le tante idee c’è proprio quella del welfare collaborativo che possiamo studiare e poi mettere in pratica”. Insomma, se il settore pubblico da solo non può più risolvere alcuni problemi, ben vengano le piattaforme di condivisione che uniscono l’esperienza dei più anziani con la voglia di fare dei giovani, “così riusciamo anche a mettere insieme le generazioni”, osserva Cristina.

Non è perciò affatto strano che WeMake – e tante altre esperienze del genere – abbiano trovato proprio nel sindacato dei pensionati un interlocutore privilegiato. E non è un caso che la stessa Cristina sia stata protagonista alla festa di LiberEtà (il mensile dello Spi), che ha dedicato un’intera mattinata della sua tre giorni milanese proprio a questi temi, alla necessità cioè di ripensare il welfare tra innovazione sociale e tecnologia. Se n’è parlato in un dibattito 4.0 nella cornice della Fondazione Feltrinelli, capolavoro architettonico fresco di apertura, mentre all’ingresso una stampante 3d era all’opera per realizzare un logo tridimensionale dello Spi. Chiamateli pure “vecchietti”, se volete, ma non sembravano così anziani nel fare conoscenza (sebbene virtuale) con R1, un robot umanoide che nel giro di un paio d’anni potrebbe arrivare nelle nostre case per aiutarci a svolgere compiti basilari al costo di un televisore di fascia alta.

Secondo un recente studio dell’Onu, nel giro di pochi anni oltre il 60 per cento del lavoro umano potrà essere sostituito dalle macchine. Ma quale impatto reale avranno i robot nelle nostre vite? “La grande innovazione alla fine degli anni ‘90 ha reso accessibili a tutti le tecnologie di base”, osserva un altro invitato al convegno odierno, Bertam Niessen, direttore scientifico e presidente di CheFare. “La prossima frontiera – spiega – è quella del machine learning che basandosi sui big data prova a emulare i comportamenti umani". Già proliferano software in grado di disegnare, suonare o sostituire lavori cognitivi, come quello dei giornalisti o degli analisti di borsa, con scambi finanziari fatti nell’ordine dei millisecondi. Manca però un dibattito pubblico su com’è fatto il software che prende le decisioni al posto nostro, essendo in fin dei conti, queste, scelte politiche. Il luogo giusto per parlarne è senza dubbio Milano. “Oggi in città – sottolinea l’assessore al Lavoro Cristina Tajani –abbiamo un centinaio di spazi di coworking, siamo i primi che hanno provato a organizzare l’economia collaborativa, che per noi non è solo Uber o altri grandi gruppi. Un esempio? Lo chiamano social street, è l'aggregazione territoriale di quartiere attraverso la quale le persone scambiano servizi per accompagnare i bambini a scuola o attività simili”.

Una sfida raccolta, anzi rilanciata dalla Cgil, come sottolinea il segretario confederale Vincenzo Colla. “Il problema vero – ribadice – non è l’innovazione, ma il suo governo. Nel passato le macchine erano viste come il nemico, ma oggi non è più così, mercato ce n’è più di prima. Il  punto è come sfruttare la tecnologia e lo dimostra la Germania, che ha inventato Industria 4.0, ha il maggiore tasso d’innovazione in Europa e non è certo invasa dalla disoccupazione”. C’è in effetti un problema tutto italiano: “Dobbiamo essere in grado di contrattare nei luoghi di lavoro questa innovazione, collegare la macchina con le competenze, la scuola, la sanità, il welfare, però senza una mediazione pubblica non si va da nessuna parte”. La soluzione è nel governo di questo processo”, conferma il leader dello Spi Ivan Pedretti: “Oggi la politica di welfare è fortemente messa in discussione, il sistema delle protezioni rischia di sfuggire di mano. Ma l’innovazione può e deve aiutare il cambiamento, va guardata in faccia e si deve provare a governarla socialmente”. In particolare per gli over 65, i temi sono tre: sanitario (innovazione per rispondere con interventi meno invasivi e costosi, e vicini alla persona, riducendo gli interventi ospedalieri); cura della persona; sviluppo della domotica e della casa intelligente. “Per farlo – conclude Pedretti – servono relazioni con chi amministra, e servono gli investimenti, perché il soggetto privato non basta. C’è un paese più avanti della politica su questo tema, e forse dobbiamo correre anche noi, perché tra poco quell’innovazione ce l’avremo in casa”.