Forse un botto, ammantato da un falso allarme bomba, subito dopo un incontrollato fuggi-fuggi e il panico che pervade piazza San Carlo, investendo i 30 mila tifosi juventini che assistono alla finale di Champions League. Il resto di quanto accaduto il 3 giugno a Torino lo conosciamo: oltre millecinquecento feriti, tre ancora in prognosi riservata. Una tragedia sfiorata. E mentre la magistratura si occupa della ricostruzione dei fatti avvenuti quella notte, vale la pena porre in luce un elemento nient'affatto trascurabile: il soccorso offerto dal lavoro pubblico a una mole enorme di feriti, che aumentava di ora in ora. Con un grande sforzo, nel giro di poche ore gli operatori sanitari della città di Torino e dei comuni della prima cintura hanno dato una risposta in termini di soccorso e cura.

Erano 30 mila nel ‘salotto di Torino’ ad assistere al più importante appuntamento calcistico della stagione, che vedeva contrapposte Juventus e Real Madrid. "Un numero troppo elevato per uno spazio così ridotto", racconta Massimo Esposto, segretario della Sanità della Funzione Pubblica Cgil di Torino. Ancora non è chiaro cosa abbia innescato quegli attimi di puro terrore, forse un falso allarme bomba che ha generato una fuga generale dei tifosi in piazza. Una massa di migliaia di persone che, tentando di scappare, si è ferita con i vetri delle bottiglie in frantumi, calpestandosi l'un l'altro, cadendo, andando a sbattere.

Gli ospedali della città e quelli dei comuni limitrofi si sono trovati costretti a fronteggiare una situazione senza precedenti: un flusso di centinaia di persone ferite e spaventate bisognose di cure e trattamenti. "In tre ore - ricostruisce Esposto - sono arrivate 500 chiamate alla centrale del 118, con un picco di 90 interventi da inviare in parallelo. Le ambulanze si sono mosse tutta la notte, andando a soccorrere tutte le persone scappate da piazza San Carlo e sparpagliate nel raggio di chilometri. 1527 il totale dei feriti".

Pietro Tuttolomondo, coordinatore del Dipartimento di emergenza e accettazione (Dea) dell'Ospedale Molinette di Torino, quella sera era di turno. "Sono stato avvisato che era attiva la massima emergenza e mi sono precipitato in pronto soccorso. In un battibaleno si è sovraffollato di pazienti. Alcuni venivano con l'ambulanza, altri in auto, in taxi o con qualsiasi mezzo di fortuna". Di fronte ad un'affluenza di tale portata la risposta del ‘pubblico’ ha dato grande prova di prontezza e organizzazione. "Tutti i colleghi del turno pomeridiano si sono trattenuti in ospedale e alle 2 di notte abbiamo fatto telefonate a cascata ai colleghi del turno della mattina, che si sono precipitati anticipando l'orario di lavoro di 4 ore. È stato convocato tutto il personale reperibile: medici, chirurghi, infermieri".

 

Pietro racconta con orgoglio di quelle 8 ore di lavoro intenso, in cui ognuno ha fatto il suo e anche di più, senza mai perdere il controllo, senza mai sentire la fatica. "Abbiamo gestito non solo i pazienti - aggiunge - ma anche i tanti familiari che si presentavano in pronto soccorso perché non trovavano parenti e amici. Un'ottima risposta - conclude Pietro - di medici, infermieri e operatori socio-sanitari (oss, nda) in prima linea, ma anche di chi, dietro le quinte, ha organizzato e pianificato le attività d'intervento".

Un quadro simile quello che si è verificato nella prima cintura di Torino. A parlarcene è Gianni Ogliero, coordinatore del Dea dell'Ospedale di Rivoli. "Quella notte, alle 11, abbiamo attivato il piano di emergenza 'massiccio flusso di feriti'. Sono arrivate, tra il nostro ospedale e i presidi della prima cintura, quasi 200 persone bisognose di cure". Ma non solo i pazienti, anche medici, infermieri e operatori socio-sanitari sono sopraggiunti, per spirito di appartenenza al servizio sanitario, in aiuto dei colleghi già di turno. "Il personale si è prodigato per circa 6 ore per garantire il trattamento di ragazzi e bambini spaventatissimi e feriti. Persone cosparse di sangue, scalze, che avevano i piedi completamente tagliati e pieni di piaghe. Ci siamo dati da fare per dare una risposta a questa situazione quasi da film, come nelle riprese dei campi di battaglia". Prosegue Gianni con una certa commozione: "Alcuni hanno dichiarato di sentirsi morire. Hanno visto la morte in faccia perché tutti calpestavano tutti. Per noi è stata un'esperienza molto toccante". Un contributo umano e medico che ha permesso che alle 4 e mezza del mattino l'Ospedale di Rivoli avesse finito di visitare tutti i pazienti.

In attesa che si individuino le responsabilità, amministrative e politiche, lasciando che la magistratura faccia il suo corso, Massimo Esposto della Fp di Torino tiene a precisare che “l'ottima gestione dell'emergenza è da attribuire alla professionalità e all'abnegazione di questi lavoratori che nel marasma generale sono riusciti, in un modo o nell'altro, a garantire la corretta assistenza di tutte le persone che hanno fatto richiesta". Un esempio concreto di come, specie in questi casi, il lavoro pubblico sia a disposizione per tutti, tutti i giorni.