Inarrestabili crescono le diseguaglianze. Nel mondo, ma anche nel nostro Paese, e al centro di ogni tentativo di analisi c’è sempre lo stesso leitmotiv: insieme ai diritti del lavoro sparisce il ceto medio, i poveri diventano sempre più poveri, mentre i ricchi sono gli unici che riescono a migliorare le proprie condizioni economiche. A ricordarcelo in questo inizio di settimana sono due studi autorevoli, anche se di matrice completamente diversa: il rapporto 2016 di Oxfam – ong che si occupa di beneficenza, ma realizza anche studi e ricerche a sostegno della propria attività – e l’Inclusive Growth and Development Report, la classifica stilata dal World Economic Forum, che si riunisce oggi (17 gennaio) a Davos.

Oxfam punta espressamente il dito contro il liberismo, la deregulation e il potere economico che influenza la politica, spinge per avere leggi di comodo, evade le tasse, comprime verso il basso i salari ed esaspera i propri profitti. Qualche dato al volo. In Italia i sette più ricchi posseggono quanto il 30% dei più poveri; mentre c’è addirittura un 20% di nostri connazionali che detiene più del 69% della ricchezza del Paese. Ma l’aspetto più preoccupante risiede nel fatto che queste diseguaglianze, invece di diminuire, con il tempo crescono. Basti pensare che il 45% dell’incremento della ricchezza degli ultimi anni si è concentrato nelle mani del 20% più ricco degli italiani.

Lo studio del World Economic Forum evidenzia invece lo scarto in termini di welfare e servizi ai cittadini, settori che incidono profondamente sulle diseguaglianze, sulla povertà e sul cosiddetto ascensore sociale tra i Paesi del Nord e quelli del Sud Europa. Sui trenta Paesi esaminati, l’Italia si colloca al 28° posto per qualità della scuola, al 29° per sevizi di base, infrastrutture e per “imprenditorialità” (ma non ditelo al segretario del Pd, che negli imprenditori italiani vede i suoi eroi). In compenso, l’Italia eccelle nel garantire la sanità pubblica ai propri cittadini, un risultato troppo spesso bistrattato, che dovremmo difendere con le unghie e con i denti dalle concessioni pubbliche alla sanità privata.

Insieme a questi dati, anche il commento del Nobel Joseph Stiglitz, che in un intervento pubblicato da la Repubblica riprende il tema della globalizzazione senza regole che favorisce i ricchi e penalizza il lavoro, comprimendo redditi e diritti. Una situazione che in assenza di nuove regole non potrà che peggiorare, aumentando a dismisura le diseguaglianze e la povertà. “È vergognoso – scrive Stiglitz – che il presidente di un Paese si vanti di non avere pagato le tasse per quasi vent’anni o che un’azienda paghi lo 0,005% di imposte sui propri utili come ha fatto la Apple”. Il ruolo del sindacato, nazionale, europeo e mondiale, oggi è più che mai quello di battersi per nuove regole, per estendere i diritti legati al lavoro e bloccare il circolo vizioso della corsa al ribasso dei salari, dell’impoverimento e della concentrazione sterile delle grandi ricchezze nelle mani di pochi. In Italia i referendum sul lavoro sono un passo importante in questa direzione.