Il Quantitative easing varato oggi dalla Banca centrale europea è una «decisione indispensabile», e dunque necessaria, ma «difensiva». E rischia di arrivare troppo tardi. Questa la prima analisi compiuta dalla Cgil sulle misure illustrate dal presidente della Bce, Mario Draghi, che ha annunciato un acquisto mensile di titoli di stato pari a 60 miliardi di euro fino alla fine di settembre 2016. «Finalmente - commenta il segretario confederale della Cgil, Danilo Barbi - la Bce si è decisa ad intervenire veramente con l'unico strumento che può garantire una certa efficacia contro la stretta recessiva e deflattiva che sta soffocando l'eurozona». Ma per il dirigente sindacale, l'intervento «conferma gli errori della politica economica europea e della stessa Bce compiuti fino ad oggi». Infatti «si è reso necessario in quanto l'economia dell'eurozona è bloccata, nonostante le false promesse dell'austerità espansiva. L'errore è sempre stato quello di sottovalutare la natura strutturale di questa crisi, rifiutandosi di programmare una vera politica espansiva».

Il Quantitative easing, comunque, secondo Barbi «si è reso necessario, ma non sarà sufficiente a garantire la crescita e la ripresa dell'occupazione, non sarà in grado, come invece è stato per l'esperienza americana, di promuovere una politica di crescita per l'insieme dell'eurozona». Per il segretario della Cgil, dunque, «tocca alla Commissione Europea cambiare la politica economica, passando dall'austerità ad una politica di investimenti pubblici e privati e superando il Fiscal Compact».

L’analisi
La confederazione sindacale affida poi l’analisi e il commento sulle misure varate dalla Bce a una nota di approfondimento a cura dell'Area delle Politiche di sviluppo. «Troppo poco, troppo tardi – si legge nel documento –. Questa, purtroppo, rischia di essere la valutazione della decisione del Consiglio della Banca Centrale Europea di emettere moneta acquistando titoli degli Stati dell’Area euro». Per la Cgil, «nonostante le tante aspettative, tale decisione di politica monetaria, nota come “quantitative easing” (letteralmente, “allentamento quantitativo”, cioè una misura non convenzionale di immissione di liquidità nel sistema economico-finanziario), in realtà, oggi rappresenta solo una misura difensiva, non più rinviabile a fronte della deflazione europea (Eurostat registra il -0,2% su base annuale a dicembre 2014). La maggiore moneta in circolazione - prosegue l’analisi - dovrebbe trattenere la caduta di consumi e investimenti privati, nonché l’aumento in termini reali del debito pubblico di ogni singolo Stato in cui i prezzi diminuiscono, sospingendo la fiducia dei mercati finanziari e le esportazioni per effetto della svalutazione della moneta. Va però sottolineato che l’Euro è già caduto del 15% sul Dollaro e gli USA hanno già dichiarato la loro avversione ad un’economia europea e, in particolare, tedesca tutta orientata al commercio internazionale, che li costringe a rappresentare la domanda interna del Pianeta».

«Deflazione e contromisure della Bce – prosegue la nota – confermano l’analisi della Cgil. Aver preso questa decisione, malgrado l’avversione della Bundesbank, conferma il riconoscimento della profondità e dei tratti strutturali della crisi europea, che si poteva e doveva affrontare prima. Solo agendo come negli USA (con una prima manovra monetaria espansiva nel 2008; una seconda di 600miliardi decisa nel novembre 2010; un terzo quantitative easing che prevede proprio l’acquisto di titoli sovrani e Asset-backed security per 85 miliardi di dollari al mese, da settembre 2013 a ottobre 2014) si sarebbe potuto sperare di generare effetti espansivi sull’economia reale. Di certo, non bastano le politiche monetarie a risolvere una crisi di domanda globale così profonda, alimentata dalle stesse linee di politica economica europea votata all’austerità».

Secondo la Cgil le decisioni della Bce di oggi rappresentano, in un certo senso, anche «una “ammissione di colpa” nell’aver sottovalutato la crisi e aver intrapreso scelte di politica monetaria profondamente sbagliate. Basti ricordare che nel primo semestre del 2011, quando l'aumento dei prezzi delle materie prime generava inflazione e la FED procedeva con il secondo quantitative easing, la Bce ha alzato i tassi di interesse ben due volte. Il Consiglio direttivo Bce di oggi, infatti, ha lasciato i tassi di interesse invariati, al minimo storico. Ma è passato troppo tempo dal 25 luglio del 2012, quando il Presidente Draghi disse che la Bce sarebbe stata pronta a fare il necessario (“Whatever it takes”) per salvare l’Euro». Dunque l’intervento della Bce «non cambia il segno delle politiche restrittive, che sembrano restare immutate anche dinnanzi allo spettro di una lunga stagnazione. Non a caso Draghi sostiene che “le riforme strutturali del mercato del lavoro e dei prodotti siano attuate rapidamente in diversi paesi”. La dimensione e le modalità del quantitative easing dipendono dal compromesso maturato in Bce tra le diverse banche centrali e, soprattutto, nei confronti della Germania, che teme un indebolimento delle cosiddette “riforme strutturali” e dei percorsi di contenimento dei debiti sovrani, ovvero l’elusione degli obiettivi di finanza pubblica (contenimento del deficit e riduzione del debito pubblico) e del target d’inflazione (2%) definiti nei Trattati europei, che potrebbero mettere in discussione la governance sovranazionale».

Le misure
«Tecnicamente – si legge nella valutazione della confederazione sindacale –, sono stati stabiliti acquisti mensili di titoli del settore pubblico e privato della portata di 60 miliardi di euro (per un totale di oltre 1.100 miliardi di euro), da marzo 2015 fino a settembre 2016 e – secondo le parole del Presidente Mario Draghi – “fino a un sostenuto adeguamento del ritmo dell’inflazione. I limiti di acquisto da parte della Bce di bond sovrani è il 25% di ogni singola emissione e il 33% del debito di ogni emittente. Mentre il “rischio” (ma anche il maggiore rendimento) viene in parte condiviso e ripartito su più stati. Alcuni criteri supplementari di ammissibilità al piano Bce riguarderanno i paesi che rientrano nei programmi di “aggiustamento” dei conti pubblici previsti da Unione europea e Fondo Monetario internazionale».

Tuttavia la Cgil insiste nel sottolineare che la decisione della Bce «non risolve i tratti strutturali della crisi di domanda che continua ad attraversare il Vecchio continente e, in generale, l’economia globale. La flessione dell’occupazione e dei redditi, degli investimenti e dei consumi, pubblici e privati, non si può compensare solo attraverso politiche dell’offerta, soprattutto monetaria. Anche solo in termini di contrasto alla deflazione, per sollevare la dinamica dei prezzi al consumo è necessario generare un’inflazione “ragionevole” dal lato della domanda, possibile solo se aumenta la massa salariale, non monetaria. La maggiore moneta in circolazione potrebbe arginare temporaneamente recessione e depressione nelle diverse economie europee, ma senza politiche economiche espansive restano assolutamente ottimistiche le previsioni di crescita europee e, ad oggi, si conferma impossibile l’obiettivo di recuperare l’occupazione perduta nella crisi, tanto più in Italia».

«Solo con più investimenti pubblici e più (buona) occupazione – conclude la nota - si possono affrontare i vuoti di domanda effettiva nei paesi dell’Area Euro e uscire dalla crisi. Ma la creazione occupazione e, in generale, un nuovo intervento pubblico in economia vanno in direzione opposta agli interessi costituiti, della finanza e del commercio internazionale, che governano l’Europa. Per questo resta fondamentale per l’Italia aprire una vera e propria “vertenza europea”, per cambiare le politiche economiche della Commissione europea e intraprendere manovre espansive per uscire dalla crisi».