Avanti sì, ma troppo piano. Si può forse riassumere così il senso della ricerca presentata oggi alla stampa da Federmeccanica, l’associazione delle imprese metalmeccaniche aderenti a Confindustria. Stiamo parlando dell’edizione n. 130 dell’indagine trimestrale su “La congiuntura dell’industria metalmeccanica”, i cui risultati sono stati illustrati, a Roma, dal vice Presidente Maglione, dal nuovo Direttore generale, Franchi, e dal responsabile del Centro studi, Megaro.

Nei primi mesi del corrente anno, è scritto nella sintesi offerta ai giornalisti presenti in mattinata all’Hotel Nazionale, il settore metalmeccanico “continua ad evidenziare dinamiche produttive moderatamente positive”. In queste righe la parola chiave è la voce verbale “continua”. La quale si riferisce al fatto che anche nella precedente indagine, relativa al quarto trimestre 2013, era stato segnalato un “parziale miglioramento della congiuntura metalmeccanica”.

Tuttavia, l’analisi di Federmeccanica non è improntata all’ottimismo. Infatti, la ripresa in atto “stenta ad assumere consistenza”. E ciò sia “a causa della persistente debolezza della domanda interna”, sia “per la costante perdita di competitività delle produzioni nazionali nel confronto con i principali paesi concorrenti”. Passando dalle parole alle cifre, nel primo trimestre di quest’anno i “volumi produttivi” del settore metalmeccanico sono cresciuti dello 0,9% rispetto all’ultimo trimestre 2013 e dell’1,9% nel confronto col primo trimestre dello stesso 2013. Insomma, una crescita sia congiunturale che tendenziale. 

Il punto però, secondo Federmeccanica, è un altro.  E sta nel fatto che questa ripresa così moderata si delinea contemporaneamente a fenomeni assai più significativi in atto negli altri principali paesi industriali dell’Unione Europea. “Nel confronto tendenziale – si legge ancora nella nota elaborata da Federmeccanica – la Germania ha messo a segno un + 4,7%. Meglio di noi hanno fatto anche Gran Bretagna (+ 3,5%) e Francia (+ 3,0%).” A ciò si aggiunga che, nell’insieme dell’area comunitaria, la produzione metalmeccanica è cresciuta del 3,3%.

Insomma, luci ed ombre. Le luci, secondo una tendenza ormai nota da tempo, vengono dalle esportazioni che, nel primo trimestre 2014, sono cresciute dell’1,9%. Da notare, però, che, con una parziale modifica del quadro precedente, il fatturato che ha sostenuto questa crescita è quello relativo alle esportazioni indirizzate verso i paesi dell’Unione (+ 5,9%). Le quali hanno più che compensato il calo relativo alle esportazioni indirizzate verso i paesi extra Ue (- 2,6%). Il che è interessante perché conferma ciò che abbiamo appena visto circa la crescita produttiva in Germania, Francia e Regno Unito, ovvero che la ripresa si è vivacizzata nell’area Ue. Crescita che si traduce, per quanto ci riguarda, in domanda dei nostri prodotti industriali.

Contemporaneamente, le importazioni sono diminuite, a causa della modestia dell’attività economica in corso nel nostro Paese, e ciò ha fatto crescere il saldo positivo dell’interscambio nel settore metalmeccanico, passato dai 13,3 miliardi del primo trimestre 2013 ai 14,2 miliardi del primo trimestre 2014.

E adesso veniamo alle ombre. Confermando quanto già visto nella precedente indagine, la n. 129, “la consistenza della ripresa in atto appare insufficiente a consentire il recupero, nel breve-medio periodo, dei 30 punti di produzione e dei 25 punti di capacità produttiva installata persi rispetto alla fase pre-recessiva”, ovvero rispetto al 2007.

Che fare? Per ciò che riguarda la necessità di rilanciare una domanda interna da troppo tempo stagnante, le ricette di Federmeccanica sono note: velocizzare il pagamento dei debiti contratti dalla Pubblica amministrazione, ridurre oneri e imposte a carico delle imprese, non che flessibilizzare (ulteriormente?) il mercato del lavoro. Riprendendo un argomento già usato in passato, e cioè anche in epoche economicamente meno contrastate, Federmeccanica è tornata però oggi anche a lamentare un eccessivo peso del famoso Clup, il costo del lavoro per unità prodotta. Peso che penalizzerebbe la competitività internazionale dei nostri prodotti. Inoltre, Federmeccanica ha sostenuto che la dinamica della crisi ha ridotto la quota di reddito che va a remunerare il capitale, scesa - dal 2007 a oggi - dal 30 al 20%. Il che, in epoca di credito bancario sin troppo scarso, finirebbe per impedire alle nostre imprese metalmeccaniche di reperire le risorse necessarie a sostenere i necessari investimenti.