Pubblichiamo un estratto da Valerio Strinati, La Costituzione e il lavoro, supplemento a «Rassegna Sindacale», novembre 2009 (qui il PDF della guida integrale).

Lo sciopero costituisce storicamente la forma più incisiva di esercizio dell’autotutela di interessi collettivi attuato mediante l’organizzazione sindacale: il riconoscimento di esso come diritto di libertà nell’art. 40 della Costituzione, oltre a conferire concretezza al principio di libertà sindacale, rappresenta un evento emblematico della volontà del nuovo ordinamento democratico di attribuire un ruolo di protagonista a soggetti e classi rimasti in passato ai margini della vita pubblica.

Considerato un delitto dal Codice penale sardo, lo sciopero cessò di essere qualificato come tale, purché posto in essere senza atti di violenza o di minaccia, con il Codice Zanardelli (1890), e tornò ad essere penalmente sanzionato con la legge sindacale fascista del 1926, che lo vietò (insieme alla serrata) con norme che, tra l’altro, sopravvissero all’ordinamento corporativo, restando in vita dopo l’entrata in vigore della Costituzione, dando così luogo a una situazione paradossale, parzialmente sanata solo dall’intervento della Corte costituzionale.

L’art. 40 («Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano») fu approvato dall’Assemblea Costituente, dopo una lunga e contrastata discussione, in una formulazione che riprendeva l’analoga disposizione costituzionale francese: con essa ci si limitava a stabilire che lo sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano, ma la mancata adozione di esse fino al 1990 ha fatto sì che il suo inquadramento giuridico restasse affidato sostanzialmente all’elaborazione giurisprudenziale. Per molto tempo i giudici si sono misurati sul tentativo di fornire una definizione di sciopero per individuarne gli elementi distintivi, suscettibili di delimitare l’ambito entro il quale esso può legittimamente esercitarsi: un tale approccio si è risolto tuttavia nello sforzo di circoscrivere astrattamente la nozione di sciopero alla sfera del rapporto contrattuale, come mezzo di pressione sul datore di lavoro, fornendo una nozione estremamente restrittiva della natura degli interessi tutelati e quindi dell’ambito di applicazione della copertura costituzionale: secondo tali interpretazioni restavano infatti esclusi da essa lo sciopero di solidarietà, lo sciopero politico, nonché le forme di astensione dal lavoro “anomale” (scioperi a singhiozzo o a scacchiera) che invece avrebbero avuto un ruolo determinante nello sviluppo della conflittualità operaia, specialmente nel corso degli anni 60 e 70.

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I limiti
La legge 146/1990, di disciplina dello sciopero nei servizi pubblici essenziali, si caratterizza per il fine di pervenire a un bilanciamento tra beni di pari valore costituzionale, nel presupposto che un diritto stabilito nella carta fondamentale possa essere condizionato dall’esercizio di altri diritti, ma non annullato: a tal fine la legge elenca i servizi essenziali e detta i limiti entro i quali il diritto di sciopero può esercitarsi, riguardanti, essenzialmente, l’obbligo di preavviso, l’indicazione preventiva della durata delle singole astensioni e la garanzia della continuità nell’erogazione delle prestazioni indispensabili. Sul rispetto delle norme e sulla loro attuazione vigila un’autorità indipendente, la Commissione di garanzia, chiamata a svolgere compiti di indirizzo rispetto alla definizione dei comportamenti delle parti, compiti integrati anche dall’adozione, da parte dei sindacati, di codici di autoregolamentazione, finalizzati a minimizzare il danno agli utenti durante gli scioperi. Anche in considerazione dell’esigenza di rafforzare l’autodisciplina delle parti sociali è stata varata la legge 83/2000, a completamento di quella del 1990: essa mira, tra l’altro, a sviluppare forme negoziali di prevenzione, raffreddamento e risoluzione dei conflitti, nonché a rafforzare il ruolo degli utenti e ad estendere i princìpi della legge 146 agli scioperi dei lavoratori autonomi suscettibili di interferire con la funzionalità dei servizi essenziali.

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L’evoluzione della giurisprudenza ha messo in luce i limiti di impostazioni astrattamente definitorie, e ha sottolineato l’impossibilità di indicare un concetto di sciopero a prescindere dai modi in cui concretamente si esplica il conflitto sociale. Proprio partendo da tale presupposto la Corte costituzionale ha operato in profondità sul sistema, procedendo all’eliminazione di parte delle disposizioni penali ereditate dal fascismo e al chiarimento della diversa posizione costituzionale dello sciopero rispetto alla serrata (considerata dalla Corte come un comportamento di fatto, privo della rilevanza penale che gli era stata attribuita dall’ordinamento corporativo), nonché sostenendo la legittimità dello sciopero di solidarietà, come tutela che trascende l’interesse di categoria (C. cost. 123/1962) e dello sciopero politico, come rivendicazione di determinati provvedimenti rivolta alla pubblica autorità, in ragione della latitudine degli interessi perseguiti attraverso l’autotutela collettiva. 

Con la sentenza dichiarativa della illegittimità costituzionale delle norme penali repressive dello sciopero politico (290/1974), la Corte sottolineava inoltre come lo sciopero, oltre alla promozione di interessi economico- professionali, agisse anche come strumento idoneo a favorire il perseguimento dei fini di cui al 2° comma dell’art. 3 della Costituzione. Si può pertanto affermare che lo sciopero si configura come un diritto di libertà della persona, esercitato di regola in forma collettiva, condizionato dall’esistenza di un contratto di lavoro (prevalentemente, ma non soltanto, subordinato), ma non necessariamente riguardante il rapporto con il datore di lavoro: i limiti all’esercizio di tale diritto non sono desumibili da definizioni destinate ad essere superate dalla realtà delle relazioni sindacali, bensì da fattori “esterni”, derivanti cioè, secondo quanto affermato anche dal giudice costituzionale, dall’esigenza di coordinare il diritto di sciopero con la tutela di altri beni costituzionalmente protetti (la salute e la sicurezza, la libera circolazione, la sicurezza sociale, la libertà di comunicazione ecc.).