Nel 2023 erano 36.012 le persone che erano potute andare in pensione anticipata grazie a Opzione donna e Quota 103 (all’epoca quota 102). Oggi, a distanza di tre anni, quella flessibilità è stata completamente azzerata: con la legge di bilancio 2025, entrambe le misure vengono di fatto cancellate. La denuncia, numeri alla mano, è di Ezio Cigna, Responsabile politiche previdenziali della Cgil nazionale.

Dal 2023 al 2026: eliminata ogni possibilità di scelta

Le 36 mila uscite del 2023 rappresentano l’ultimo anno in cui il sistema pensionistico ha garantito una qualche flessibilità in uscita, fuori dalla tenaglia della legge Monti-Fornero. Con l’esecutivo in carica da ottobre 2022, la legge di bilancio 2023 ha segnato una svolta restrittiva, riducendo drasticamente le possibilità di pensionamento anticipato, in particolare per le donne.

La misura Opzione donna è stata di fatto ridimensionata del tutto, spiega Cigna, con un crollo delle domande del 75,29% tra il 2023 e il 2025: da 12.763 uscite nel 2023 si è passati alle 2.900 stimate nel 2025.

Anche se molte delle pensioni liquidate nel 2024 e 2025 derivano ancora dai requisiti previgenti, con la nuova normativa il taglio effettivo dal 2026 in avanti è del 100%: una chiara scelta politica che cancella anche quell’eredità lasciata su queste misure dal governo Draghi.
D’altra parte, anche Quota 103 è stata colpita da un taglio strutturale. L’introduzione del ricalcolo contributivo integrale ha ridotto drasticamente l’importo delle pensioni, trasformando una misura nata come strumento di flessibilità in una trappola economica.
Nel 2024, a fronte di circa 14.000 domande, solo 1.154 pensioni sono state liquidate: un dato che evidenzia la volontà del governo di disincentivare qualsiasi forma di pensionamento anticipato.

L’accanimento contro le donne

Il taglio della flessibilità colpisce in modo diretto e sproporzionato le donne che nel 2023 rappresentavano quasi la metà (48,5%) delle uscite anticipate, se consideriamo oltre a Opzione donna anche quota 103.

L’inasprimento dei requisiti introdotto nel 2023 ha reso di fatto impossibile l’accesso a Opzione donna: una lavoratrice nata nel 1964, con 35 anni di contributi al 2022, che avrebbe potuto usufruire della misura, è costretta a lavorare almeno altri 7 anni per maturare la pensione anticipata pari a 42 anni e 3 mesi nel 2029, oppure 8 anni e 5 mesi per raggiungere la pensione di vecchiaia, che arriverà a 67 anni e 5 mesi, per effetto dell’adeguamento automatico alla speranza di vita.

Duro il commento di Lara Ghiglione, segretaria confederale Cgil: “Il governo ha cancellato del tutto Opzione donna, l’unica misura, seppur parziale, che permetteva a molte lavoratrici di scegliere se lasciare il lavoro prima. Dopo averla già snaturata, alzando i requisiti e limitandola a pochi casi di fragilità o assistenza familiare, ora l’ha eliminata senza proporre alcuna alternativa”.

La sindacalista ricorda come “fino a pochi anni fa questa misura consentiva a quasi 20 mila donne l’anno di accedere a un’uscita anticipata: la sua cancellazione è un segnale politico chiaro. Il governo continua a ignorare la disparità di genere nelle carriere e nei redditi, negando alle donne qualsiasi possibilità di flessibilità in uscita in un sistema che già oggi le penalizza con pensioni più basse e carriere discontinue”.

Ghiglione: lottiamo per una vera riforma previdenziale

Per la Cgil, continua, “serve invece una riforma previdenziale che, tra le altre istanze, riconosca il valore del lavoro di cura e le difficoltà reali delle donne nel mercato del lavoro, introducendo forme di flessibilità pensionistica capaci di restituire giustizia e dignità a tutte le lavoratrici”.

Una battaglia che la Confederazione intende portare avanti con forza. D’altra, sottolinea Ghiglione, “la grande manifestazione del 25 ottobre ha espresso con chiarezza il malessere e la rabbia di lavoratrici, lavoratori, pensionate e pensionati di fronte a una legge di bilancio ingiusta che investe in spese militari, taglia la sanità pubblica, non dà risposte sul fisco e non prevede alcuna politica industriale”.

Una manovra che, “anche sul fronte previdenziale, azzerando ogni forma di flessibilità, colpisce le donne, giovani e chi ha carriere più fragili, negando prospettive di equità e giustizia sociale, anche per chi svolge lavori gravosi o usuranti”.

Giudichiamo questa legge di bilancio profondamente sbagliata – conclude la segretaria confederale –, perché aggrava le disuguaglianze e ignora i bisogni reali del Paese. Per questo la mobilitazione proseguirà: per una riforma previdenziale vera, per una politica fiscale equa, per investimenti nella sanità e nel lavoro, e per un modello di sviluppo fondato sulla giustizia sociale e non sull’economia di guerra”.

Leggi anche