Se qualcuno avesse ancora qualche dubbio sulle reali intenzioni del governo di varare una vera riforma previdenziale, l’incontro con i sindacati di venerdì 10 gennaio dovrebbe aver sciolto ogni dubbio. Nonostante sul tavolo ci fosse la legge di bilancio, della previdenza non si è proprio parlato. Nonostante gli slogan e le promesse elettorali di superamento della legge Fornero. Nessun accenno neanche alla questione che ha tenuto banco in queste settimane sui principali mezzi di informazione italiani, ovvero l’aumento dei requisiti per andare in pensione di vecchiaia che scatterà dal gennaio 2027 come risultato dell’aumento dell’aspettativa di vita certificato dall’Istat e sul quale l’esecutivo aveva promesso di intervenire.

Senza correttivi, dal 2027 l’età per la pensione di vecchiaia salirà a 67 anni e 3 mesi, e nel 2029 a 67 anni e 5 mesi. Per la pensione anticipata serviranno invece 43 anni 1 mese di contributi nel 2027 e 43 anni e 3 mesi nel 2029. Altro che “quota 41 per tutti” - un’altra delle promesse del governo – l’obiettivo della pensione si allontana sempre di più.

Assegni sempre più bassi

Insomma, commenta Lara Ghiglione, segretaria confederale della Cgil, “si va in pensione più tardi e con assegni sempre più bassi. Le pensioni anticipate sono crollate, Opzione donna è di fatto cancellata e l’aumento dell’importo soglia per l’uscita a 64 anni nel sistema contributivo — da 1.309 euro nel 2022 a 1.811 euro nel 2030 — ha già escluso e continuerà a escludere la maggior parte delle lavoratrici e dei lavoratori”.

Un silenzio che parla

Il silenzio sulle pensioni rivela grande confusione nella maggioranza. Anche l’idea di utilizzare il parametro dei 64 anni per “bloccare” solo parzialmente l’aumento è illusoria: “Quasi 200 mila lavoratrici e lavoratori ne resterebbero esclusi, e non ci sarebbe alcuna salvaguardia per chi è già uscito con accordi di scivolo, isopensione o fondi di solidarietà. Parliamo di circa 44 mila persone che rischiano di diventare i nuovi esodati”, commenta Ezio Cigna, responsabile Politiche previdenziali della Cgil nazionale.

Un paradosso: il Tfr per andare in pensione prima

Anche le proposte estive del governo sull’utilizzo del Tfr per raggiungere l’importo soglia mostrano bene, secondo la Cgil, l’approccio sbagliato con cui si continua ad affrontare il tema delle pensioni. Come se la flessibilità in uscita potesse essere “comprata”, chiedendo ai lavoratori di pagarsi da soli l’accesso alla pensione, intaccando il proprio salario differito.
Un paradosso: per ottenere oggi ciò che con la legge Monti-Fornero — pur con tutti i suoi limiti — si poteva avere senza toccare il Tfr, si propone di sacrificare risorse destinate alla liquidazione.
Tuttavia, persino questa ipotesi è impraticabile: per colmare l’aumento di appena 500 euro dell’importo soglia servirebbe un Tfr di oltre 128 mila euro.

Il futuro? Pensioni più povere

Non solo si va in pensione più tardi, ma lo si farà con assegni più bassi. Dal 2025, infatti, i coefficienti di trasformazione sono stati ridotti, determinando un taglio generalizzato degli assegni pensionistici. Poiché oltre due terzi delle pensioni sono ormai calcolate con il sistema contributivo, l’impatto è esteso alla totalità dei nuovi trattamenti, con effetti particolarmente pesanti per le generazioni più giovani.

Tanto per dare qualche numero, spiega Cigna, “per chi percepisce una retribuzione intorno ai 30 mila euro lordi annui la perdita stimata è di circa 5.000 euro sull’intera durata della pensione, una cifra che potrebbe salire fino a 12.500 euro nel 2027 se non verranno introdotti correttivi”.

Le misure in scadenza a fine anno

Il silenzio sulle pensioni è ancora più grave, se si pensa che il governo dovrà decidere della proroga di misure in scadenza a fine anno: l’Ape Sociale, Quota 103 (62 anni e 41 di contributi) con il ricalcolo interamente contributivo e Opzione Donna, che è già stata totalmente depotenziata.

Si tratta in ogni caso, aggiunge il responsabile previdenza della Cgil, “di strumenti temporanei e marginali che coinvolgeranno appena 20 mila persone. Altro che superamento della legge Fornero: per il 99% delle lavoratrici e dei lavoratori continuerà ad applicarsi la stessa normativa, con requisiti perfino più duri di prima”.

Un sistema senza prospettiva

D’altra parte, anche nel Documento di programmazione economico-finanziaria (Dpfp) non c’è traccia di una vera riforma delle pensioni. L’unico riferimento è un generico “intervento in materia di disciplina pensionistica”, senza contenuti né tempi certi.
Non solo: il tavolo tecnico con le parti sociali è fermo dal 18 settembre 2023, segno evidente della volontà del governo di rinviare ogni confronto. Eppure, le tendenze demografiche e la precarietà del lavoro rendono urgente un ripensamento del sistema. Se oggi la spesa pensionistica resta stabile al 15,3% del Pil, le pensioni future — soprattutto per giovani, donne e lavoratori discontinui — rischiano di essere inadeguate persino per superare la soglia di povertà, con conseguenze drammatiche per la tenuta sociale del Paese.

Ghiglione: “Serve una riforma vera, non propaganda”

“Questo governo — commenta Ghiglione — continua a ignorare la realtà sociale del Paese, fatta di salari bassi, discontinuità lavorativa e precarietà diffuse. Si parla di flessibilità e di riforme, ma nella realtà si chiede alle persone di lavorare più a lungo per pensioni sempre più povere”.

Di qui le proposte della Cgil: “È indispensabile — prosegue la sindacalista — costruire una pensione contributiva di garanzia per i più giovani e per chi ha carriere discontinue, e introdurre una vera flessibilità in uscita che metta al centro le donne, riconosca pienamente il peso dei lavori gravosi e usuranti e valorizzi il lavoro di cura. Allo stesso tempo è urgente bloccare l’adeguamento automatico all’aspettativa di vita, che continua ad allontanare il momento del pensionamento e rischia di avere ripercussioni pesanti proprio sulle nuove generazioni”.

Senza trascurare chi è già in pensione, “perché i pensionati non possono essere trattati come un bancomat dello Stato. È necessaria una rivalutazione piena delle pensioni in essere, per difendere il potere d’acquisto di chi ha già lavorato una vita e oggi fatica ad affrontare l’aumento dei prezzi e del costo della vita”, aggiunge.

“È tempo di rimettere la giustizia sociale al centro delle politiche del Paese, restituendo a lavoratrici, lavoratori e pensionati ciò che è stato tolto e costruendo finalmente un sistema previdenziale più giusto, inclusivo e sostenibile, capace di guardare al futuro con equità e solidarietà. Basta con gli slogan: il sistema previdenziale deve tornare a garantire dignità e sicurezza a chi lavora, non a fare cassa sulla pelle dei pensionati di domani, delle giovani generazioni e delle donne”, conclude Ghiglione.