Eccola qui la diseguaglianza sopra tutte le altre: la certifica l’ultimo Rapporto Eurostat riportato dal Quotidiano Sanità, l’aspettativa di vita di uomini e donne nati e residenti in Campania e Calabria, ma simile alle altre regioni meridionali, è di tre anni inferiore a quella di chi vive in Trentino Alto Adige. Ma l’Italia non dovrebbe essere una Repubblica una e indivisibile? Dovrebbe, appunto. Lo afferma la Costituzione che quest’anno compie 75 anni, ma nella realtà già non è così, figuriamoci se dovesse essere varata la riforma dell’autonomia firmata Calderoli.

Un Paese spaccato in due

In Calabria e Campania si vive meno, non per un accidente della Storia e nemmeno per cattiva sorte. Si vive meno perché si spende meno per la salute di cittadini e cittadine. Secondo il monitoraggio del ministero della Salute sui Livelli essenziali di assistenza anche in sanità, forse soprattutto, esiste una vera e propria questione meridionale. Tutte le regioni del Sud non raggiungono, nel 2019, il punteggio sufficiente. La Fondazione Gimbe ha studiato il monitoraggio del ministero è il risultato è sconcertante: “Considerato che nel decennio 2010-2019 gli indicatori della griglia Lea sono rimasti pressoché invariati e la modalità di attribuzione dei punteggi identica, è possibile trarre alcune considerazioni generali per valutare il potenziale impatto sulle diseguaglianze dell’autonomia differenziata".

Innanzitutto, le tre Regioni che hanno avanzato la richiesta di maggiori autonomie, si trovano tutte nel primo quartile (adempimento cumulativo ≥86%). In secondo luogo, nei primi due quartili (adempimento cumulativo ≥76,6%) non si posiziona nessuna Regione del Sud e solo due del Centro (Umbria, Marche). Infine, tutte le Regioni del Centro-Sud (eccetto la Basilicata) rimangono da 12-16 anni in piano di rientro e Calabria e Molise sono ancora commissariate.

I cittadini del Sud finanziano la sanità del Nord

Ovviamente, ciascun cittadino italiano ha diritto di essere curato su tutto il territorio nazionale a prescindere dalla regione di residenza. Ma a “pagare” le sue cure è sempre la regione di provenienza. Risultato: le regioni del Sud, che non riescono a garantire il diritto alla salute dei propri cittadini, finanziano quelle settentrionali pagando le prestazioni di quanti si spostano per avere adeguate risposte al proprio bisogno di salute. E così loro si impoveriscono arricchendo quelle del Nord. È ancora Gimbe a dare i numeri: “Dall’analisi della mobilità attiva e passiva emerge la forte capacità attrattiva delle Regioni del Nord, cui corrisponde quella estremamente limitata delle Regioni del Centro-Sud. In particolare. Un recente report della Corte dei Conti ha documentato che nel decennio 2010- 2019 - corrispondente al riparto del Fondo sanitario nazionale per gli anni dal 2012 al 2021 - 13 Regioni, quasi tutte del Centro Sud, risultano essere le meno attrattive per i cittadini e hanno accumulato un saldo negativo pari a 14 miliardi”.

L’autonomia di Calderoli

Se il progetto del ministro per l’Autonomia dovesse passare la situazione non solo peggiorerebbe ma, di fatto, metterebbe la parola fine al servizio sanitario nazionale e sancirebbe la definitiva violazione dell’art. 32 della Costituzione. Dice Gimbe: “Il regionalismo differenziato renderà le regioni del Centro-Sud, che avranno sempre meno risorse per riqualificare i loro servizi, clienti dei servizi prodotti dalle regioni del Nord. Che riceveranno clienti da tutta Italia". Insomma, si passerà dal servizio come strumento di garanzia dell’universalità del diritto alla salute, a servizi sanitari regionali i cui clienti, non più cittadini, compreranno i servizi per la salute. Basti pensare che le regioni potranno decidere come e quanto retribuire i medici e gli infermieri, diventando così attrattori rispetto ai professionisti delle regioni meno ricche e meno in grado di remunerarli, così svuotandole.

La preoccupazione è di molti

L’associazione Medici per l’ambiente (Isde-Italia), Medicina Democratica, l’associazione Cittadinanzattiva, l’associazione Slow Medicine e l’Associazione dei Medici di Origine Straniera in Italia (Amsi), hanno redatto un documento per denunciare i rischi che l’autonomia differenziata comporterebbe per la salute dei cittadini. Cominciando dalla prevenzione primaria: “Una riforma quale quella prevista dal regionalismo differenziato, con l’esasperazione del divario economico tra regioni ricche e regioni povere, determinerebbe, per queste ultime, l’impossibilità di un adeguato governo del territorio e dell’ambiente, cancellando la necessaria omogeneità di intervento sui determinanti ambientali di salute su tutto il territorio nazionale. Con l’inevitabile ricaduta di una maggiore incidenza di patologie ambiente correlate nelle regioni a minor reddito”.

E quindi le associazioni che hanno sottoscritto il documento: “Siano fortemente contrari al regionalismo differenziato, sia per le ricadute sanitarie che per quelle ambientali. Aspetti che, tra l’altro, sarebbero destinati a influenzarsi reciprocamente in maniera del tutto negativa. La forma di regionalismo sanitario già attualmente presente ha, di fatto, di per sé già minato il servizio sanitario per come è stato concepito dalla legge 833 del 1978, mentre la recente pandemia ha chiaramente dimostrato come la sanità su base regionale non sia stata in grado di rispondere efficacemente ad un’emergenza nazionale in nessuna parte del Paese. E ciò in alcune regioni per motivi strutturali, in altre per scelte sbagliate di strategia sanitaria, orientate alla privatizzazione della sanità, incentrata sugli ospedali e accompagnata dallo smantellamento della sanità territoriale a causa del suo scarso appeal economico”.