Giovani, donne e pensioni: nessuna risposta è arrivata oggi al tavolo tecnico col governo convocato lo scorso 19 gennaio dopo un incontro che i sindacati avevano giudicato altrettanto deludente. Sul piatto, innanzitutto Opzione donne che – seppur con tutti i suoi limiti – i sindacati chiedevano di ripristinare nella versione precedente alla legge di bilancio che l’ha praticamente azzerata. E poi misure in grado di garantire ai giovani di avere nel futuro un assegno dignitoso. 

Nessuna apertura su Opzione donna 

Partiamo da Opzione donna. Con le nuove regole per uscire a 59 0 58 anni e con 35 anni di contributi entro la fine del 2022 bisogna avere uno o due figli e contemporaneamente essere disabile al 74%, oppure caregiver, con un famigliare da accudire in casa da almeno sei mesi, oppure ancora licenziata o dipendente di un'azienda in crisi con tavolo aperto al ministero delle imprese (in quest'ultimo caso si può uscire a 58 anni senza vincolo di figli). Con questi vincoli per il governo andranno in pensione 2.900 donne, per la Cgil invece meno di mille.

“Abbiamo chiesto al Governo una risposta in merito alla proroga di opzione donna con i requisiti previgenti, richiesta avanzata nell’ultimo incontro di gennaio. La ministra del Lavoro si era impegnata a portare nella stessa giornata dell’incontro la richiesta al Consiglio dei Ministri.  A distanza di un mese ancora nulla di preciso, se non un impegno generico e una volontà generica a risolvere questa questione”, dice Christian Ferrari, segretario confederale della Cgil.

Il che ovviamente apre pesanti interrogativi su un fondo politico di fondo. “Se apriamo un tavolo e non riusciamo nemmeno a prendere un impegno su un intervento correttivo e limitato – attacca il sindacalista –, ci chiediamo come si può affrontare una riforma più ampia e ambiziosa”.

Non va dimenticato come le donne sono state le più colpite dalla riforma Fornero che di fatto ne ha allungato l’età pensionabile: sette anni per chi avevano iniziato a lavorare prima del 1995 e altrettanto per chi è nel regime contributivo, visto che non riuscirà mai a raggiungere gli importi soglia per uscire prima dei 73 anni. Per i sindacati è necessario creare le condizioni per un’uscita flessibile a partire da 62 anni e per le donne.

E i giovani aspettano

Il tema è complesso. Da tempo i sindacati sottolineano che per garantire l’equilibrio e la sostenibilità a lungo termine del sistema pensionistico, sono necessarie politiche finalizzate alla creazione di nuova occupazione, al contrasto della precarietà e all’aumento dei salari. 

“La strada esattamente opposta a quella intrapresa nell’ultima legge di bilancio, con l’allargamento dei voucher, e confermata dall’annuncio di una prossima, ulteriore deregulation dei contratti a termine. È evidente che in un sistema contributivo, se le retribuzioni sono basse, anche le pensioni future lo saranno”, sottolinea Ferrari.

Serve quindi un patto intergenerazionale, soprattutto in un sistema previdenziale a ripartizione, dove i contributi dei lavoratori attivi servono a pagare gli assegni di chi si trova già in pensione. “Abbiamo fatto presente, come indicato nella nostra piattaforma unitaria, che è necessaria l’introduzione di una pensione contributiva di garanzia da inserire all’interno delle logiche dell’attuale schema contributivo, nel mix tra anzianità ed età di uscita. Il che vuol dire che più crescono contribuzione ed età più aumenta l’assegno di garanzia – valorizzando tutti i periodi degni di tutela come la disoccupazione, la formazioni, le politiche attive, stage, tirocini”, conclude Ferrari. Per ora, però, nessuna risposta.

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