Giovani e donne: di gran lunga i segmenti più fragili del mercato del lavoro in Italia. Più fragili nel lavoro e, dunque, anche per quanto riguarda il futuro previdenziale che la legge Fornero – contraddicendo le promesse – ha contribuito a peggiorare. Proprio a giovani e donne è dedicato il primo tavolo tecnico che il governo ha convocato per oggi (13 febbraio). Un incontro calendarizzato lo scorso 19 gennaio in un altro incontro che però per la Cgil, aveva spiegato il segretario confederale Christian Ferrari, è stato “pletorico, interlocutorio e senza risposte concrete, essendo anche mancati una tempistica certa e un ”quadro definito di risorse”. 

Il nodo è il lavoro

Cosa chiederanno i sindacati al governo? Bisogna partire da una premessa. Per Ferrari, il nodo della questione sta nel lavoro: “Per garantire l’equilibrio e la sostenibilità a lungo termine del sistema pensionistico sono necessarie politiche finalizzate alla creazione di nuova occupazione, al contrasto della precarietà e all’aumento dei salari. Bisogna quindi superare la precarietà che ormai da anni è presente nel nostro Paese e affligge in particolare le giovani generazioni. La strada esattamente opposta a quella intrapresa nell’ultima legge di bilancio, con l’allargamento dei voucher, e confermata dall’annuncio di una prossima, ulteriore deregulation dei contratti a termine”. È evidente che in un sistema contributivo, se le retribuzioni sono basse, anche le pensioni future lo saranno.

Ma se la legge Fornero non verrà profondamente rivista a pagarne il conto salato non saranno solo i giovani. Per questo, continua il sindacalista, “è necessario rafforzare il patto intergenerazionale, soprattutto in un sistema previdenziale a ripartizione come il nostro, dove i contributi dei lavoratori attivi servono a pagare gli assegni di chi si trova già in pensione. Se questa sfida non verrà colta, se non si daranno certezze ai giovani sulla loro futura pensione, incentivandoli a rimanere attivi nel mercato del lavoro e a versare i contributi, si rischia davvero di andare incontro ad una crisi profonda dell’attuale sistema”. 

In pensione troppo tardi

Attualmente, dunque, rispetto alla previdenza esistono due problemi che affliggono le nuove generazioni e che andrebbero rimossi. Oltre al primo che, come detto, riguarda l’impossibilità di raggiungere importi di pensione dignitosi, c’è quello dell’accesso al pensionamento in età molto avanzata. Su questo incide anche l’aumento esponenziale dell’inflazione che di fatto costringerà moltissimi giovani ad andare in pensione addirittura a 73 anni.

Come questo sia possibile ce lo spiega Ezio Cigna, responsabile Politiche previdenziali della Cgil nazionale, con una sorta di proiezione. “Quella norma – spiega – ha introdotto una flessibilità in uscita anticipata a 64 anni di età con almeno 20 anni di contributi, ma con un importo soglia da raggiungere pari al 2,8 volte l’assegno sociale, il che nel 2023 è pari a 1.409 euro. L’altra uscita possibile è a 67 anni di età, con almeno 20 anni di contributi e un assegno pari ad almeno 1,5 volte l’assegno sociale, che per il 2023 è pari a 754 euro. In alternativa, è possibile andare in pensione a 71 anni di età con almeno 5 anni di contributi, senza alcun importo di pensione da raggiungere. Continuerà, ovviamente, a esistere la pensione anticipata (che ha sostituito la pensione di anzianità), con 42 anni e 10 mesi di contribuzione (un anno in meno per le donne)”. 

Questi i requisiti a oggi. Ma con l’aumento dell’inflazione, aumenta anche l’assegno sociale e di conseguenza le soglie minime per l’uscita. “In sostanza – commenta l’esperto – anche se le retribuzioni reali non crescono, le soglie continuano a alzarsi e quindi molte più persone faranno fatica a raggiungere quegli importi minimi e dunque saranno costrette a pensionarsi più tardi”. Al 2035, quando inizieranno a ritirarsi i giovani di oggi, l’aumento dell’età pensionabile sarà di due anni.

Una pensione di garanzia

I giovani dunque andranno in pensione sempre più tardi e con importi spesso inadeguati, vista la precarietà e la frammentazione delle carriere e i rischi di disoccupazione. Per Cigna, dunque, “bisogna pensare a strumenti per consentire una riduzione dei rischi, in favore dei lavoratori più fragili. Per la Cgil è necessaria l’introduzione di una pensione di garanzia da inserire all’interno delle logiche dell’attuale schema contributivo, nel mix tra anzianità ed età di uscita. Il che vuol dire che più crescono contribuzione ed età più aumenta l’assegno di garanzia. A questo bisogna aggiungere la valorizzazione per i periodi degni di tutela, come la formazione, le politiche attive, gli stage, i tirocini, i periodi di inoccupazione”.

E le donne?

Come è noto le donne sono state le più colpite dalla riforma Fornero, che di fatto ne ha allungato l’età pensionabile: sette anni per chi avevano iniziato a lavorare prima del 1995 e altrettanto per chi è nel regime contributivo, visto che non riuscirà mai a raggiungere gli importi soglia per uscire prima dei 73 anni.“La prima risposta, seppur non sufficiente è quella di ripristinare opzione donna, che è stata di fatto cancellata dalla legge di bilancio, con i requisiti previgenti. La Cgil lo ha chiesto all’incontro del 19 gennaio e lo ribadirà oggi”.

Oltre a questo, la piattaforma di Cgil, Cisl e Uil propone un’uscita flessibile a partire da 62 anni. Per i sindacati occorre partire da qui. Le donne svolgono un lavoro di cura in ambito familiare straordinario che deve avere un riconoscimento previdenziale.