Elisa è una lavoratrice dei beni culturali. È la classica giovane che dopo il suo bel percorso di studi, una laurea in storia dell’arte, cinque anni fa si è affacciata al mondo del lavoro. E da allora non ha mai trovato un vero lavoro: ha fatto l’operatrice didattica, la bibliotecaria, l’archivista, la guida turistica. A tratti ha avuto più impieghi in parallelo. Ma sempre senza contratto, a collaborazione occasionale, senza tutele, senza diritti e senza potersi costruire una pensione.

“Quando hai 25 anni alla pensione non ci pensi, ma a 31 magari cominci a farlo – ci racconta –, perché prima o poi anche se sei precaria, se fai lavori saltuari, in pensione ci vorrai andare, no?”. Solo un paio di volte Elisa ha avuto un contratto a tempo determinato con tutti i crismi, i contributi, la malattia, le ferie, il tfr e anche la disoccupazione, una volta finito. Da un anno non lavora, la pandemia ha lasciato a casa tutte le persone come lei, con le sue specializzazioni, e ha tirato avanti grazie a una borsa di studio.

“Il problema è che in questi anni ho maturato pochissimi contributi, non mi sono mai neppure potuta iscrivere alla gestione separata, quindi non ho accesso a ristori o altri aiuti – aggiunge -. E adesso mi chiedo se continuerò a fare questo lavoro, se proseguirò su questa strada e se la strada rimarrà questa, fatta di precariato e incertezza”. Quando Elisa parla della sua collega restauratrice che è stata assunta da una ditta di pulizie a 600 euro al mese per quattordici ore settimanali, si capisce a che cosa si riferisca: a un sistema che spreca energie, risorse, investimenti, qualifiche gettate al vento, che si disperdono e impoveriscono il Paese. “È anche questa una ‘fuga di cervelli’ – conclude -. Non sono solo quelli che per lavorare vanno all’estero, ma anche quelli che non possono fare il loro lavoro perché qui non riescono. Oggi c’è un’intera generazione che chiede e vuole ottenere tutele e un lavoro dignitoso per continuare a lavorare e avere un futuro in questo Paese”.