Un nuovo, grave attacco ai diritti dei lavoratori e delle lavoratrici italiane arriva – anzi torna – nella manovra economica del governo Meloni: è l’emendamento Pogliese, che rende più difficile il recupero dei crediti da lavoro degli addetti nei confronti delle aziende. Un vero e proprio colpo di mano, che ha scatenato la protesta della Cgil e che conferma, di fatto, la volontà dell’esecutivo di fare cassa sulle spalle dei più deboli.

Riapparso all’ultimo momento

Nel percorso della legge di bilancio, il ripristino dell’emendamento Pogliese rappresenta uno dei passaggi più odiosi. Dopo essere stato accantonato nei mesi scorsi, il provvedimento è riapparso all’ultimo momento nella manovra, alimentando polemiche non solo sul merito, ma soprattutto sul metodo con cui l’esecutivo affronta questioni che incidono direttamente sui diritti dei lavoratori.

Che cosa prevede l’emendamento 

L’emendamento, promosso dal senatore di Fratelli d’Italia Salvo Pogliese, interviene sulla disciplina dei crediti da lavoro: limita cioè la possibilità per i lavoratori di ottenere gli arretrati salariali, anche quando un giudice stabilisce che la retribuzione percepita è stata troppo bassa. In sostanza, si riduce la tutela di chi si è visto imporre un salario non conforme ai contratti o alla legge, spostando nettamente l’equilibrio a favore delle imprese. È una misura che colpisce milioni di dipendenti e indebolisce uno dei pochi strumenti di difesa contro il lavoro sottopagato.

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A rilanciare l’allarme è lo stesso segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, nell’intervista di oggi a Repubblica. Smontando l’intero impianto della manovra, il leader di Corso d’Italia riserva un passaggio proprio all’emendamento: il ripristino dell’emendamento Pogliese è “l’ennesima cattiveria contro i lavoratori che perdono il diritto agli arretrati quando un giudice stabilisce che la loro retribuzione è troppo bassa”.

Il precedente: il tentativo nel decreto Ilva

Il colpo di mano governativo ha anche un precedente. Nel recente passato, infatti, Fratelli d’Italia aveva già tentato di inserire una norma simile nel decreto Ilva, in modo discreto e con tempi di discussione estremamente ridotti. Di fronte alle proteste, il governo aveva fatto una frettolosa marcia indietro, ritirando l’emendamento. La motivazione ufficiale parlava di “tempi troppo stringenti” per la conversione del decreto, ma la realtà era ben diversa.

Gabrielli: più difficile tutela dei salari e recupero crediti

“Un nuovo e grave attacco ai diritti dei lavoratori da parte del governo. Con un emendamento alla legge di Bilancio, senza alcun confronto con le organizzazioni sindacali, si tenta di rendere più difficile la tutela dei salari e il recupero dei crediti retributivi. Zero benefici per i lavoratori, solo attacchi”. Ad affermarlo, in una nota, la segretaria confederale della Cgil Maria Grazia Gabrielli.

“Si usa la legge di bilancio – a suo avviso – su una materia del tutto estranea alla programmazione economica. E palesemente si interviene contro le recenti sentenze della Corte di cassazione in materia di giusta retribuzione”.

Serve lo stralcio definitivo

“Dopo essere stata cancellata dal decreto Ilva - ricorda la dirigente sindacale - a seguito dell’opposizione delle forze sociali e politiche, la norma viene riproposta stabilendo che il datore di lavoro non può essere condannato al pagamento di differenze retributive o contributive per il periodo precedente la data del ricorso, se ha applicato lo standard retributivo previsto dal contratto collettivo leader”.

“Il risultato è un indebolimento concreto delle tutele salariali. Una norma che – conclude Gabrielli – neutralizzando cinque anni di arretrati, appare manifestamente incostituzionale e che colpisce i diritti fondamentali dei lavoratori. Non esistono alternative: l’unica soluzione è lo stralcio definitivo. La Cgil contrasterà la norma con ogni iniziativa, in tutte le sedi”.