L’incontro di lunedì 6 maggio al ministero del Lavoro su lavoro povero e salario minimo “è stato uno dei pochi casi in cui l'impegno a una continuità di confronto per ora è stato rispettato. Cercheremo di capire se questo confronto punta realmente a realizzare degli avanzamenti condivisi dalle parti sociali, e quindi a costruire un provvedimento che, per quanto possibile, tenga conto delle nostre valutazioni”. Così Tania Scacchetti, segretaria confederale della Cgil, intervistata da RadioArticolo1.

Il tema dei bassi salari va però inquadrato nel tema più generale della stagnazione, della crisi dell’economia italiana – che ha colpito essenzialmente tutti i redditi da lavoro e da pensione – e, soprattutto, aggiunge la sindacalista “riguarda solo in parte i salari minimi. Abbiamo un problema che riguarda i part-time involontari e il basso livello dei redditi medi. Lo abbiamo più volte segnalato al governo e la questione va affrontata, anche con le nostre controparti datoriali”.

La questione salariale è un tema europeo e va contestualizzata nella crescita continua delle diseguaglianze che ha in parte scalfito il grande sogno europeo: “Sono troppe le persone a rischio povertà ed emarginazione. Condizioni che alimentano risposte a carattere sovranista, individuali e non più collettive e solidaristiche. Tutti aspetti sui cui l’Europa deve cambiare passo. C’è la necessità di un'azione fortemente redistributiva, occorre ripartire dagli investimenti pubblici, e non solo da quelli delle grandi infrastrutture, ma anche da scuola, sanità, abitazioni. Solo così si salva la coesione sociale”.

Tornando alla questione salariale e al nostro paese, per Scacchetti, “un intervento legislativo non è risolutivo, perché i nodi sono molto complessi. Bisogna riproporre politiche pubbliche che portino all'obiettivo della piena occupazione, perché non solo abbiamo tanto lavoro povero, tanto part-time involontario, tanta evasione ed elusione del rispetto delle norme a partire dai contratti collettivi nazionali, ma abbiamo anche un grandissimo problema di sotto occupazione e disoccupazione. Il nostro gap rispetto all'Europa sui tassi di occupazione è tra 10 e 12 per cento”.  Per questo, “l'istituzione per legge di un salario minimo legale non può essere l'unica risposta. Il che non significa che vogliamo sottrarci a un ragionamento che, se orientato a valorizzare la contrattazione e a dare un sistema di regole, può diventare anch'esso uno strumento utile per un ragionamento più complessivo”.

In ogni caso, per la segretaria confederale della Cgil, “abbiamo sempre legato il ragionamento sul salario minimo alla necessità di dare valore ed efficacia legale alla parte retributiva dei contratti collettivi nazionali”. Questo tema, ovviamente, va legato a quello della rappresentanza e rappresentatività: “Perché uno dei grandi problemi, oltre all'evasione e all'elusione contrattuale, riguarda la crescita smodata negli ultimi anni dei contratti collettivi nazionali, spesso allo scopo di creare dumping, con condizioni meno favorevoli della maggior parte dei contratti collettivi firmati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative”.