La città dei mille cantieri è una selva di gru. Da oltre 10 anni il volto di Milano cambia di giorno in giorno. Da Expo 2015 alle Olimpiadi invernali 2026, sta vivendo una serie di grandi trasformazioni che ne hanno profondamente trasformato, e ne stanno trasformando, l’assetto urbano. Un meccanismo metamorfico in atto da tempo insomma, che sta però lasciando indietro intere porzioni di società, oltre che di città, spesso marginalizzate dalle ragioni implacabili del mercato. Il cambiamento fa mostra di sé per le strade, sotto forma di cantieri piccoli, grandi o grandissimi, in centro come in periferia: piccole palazzine e appartamenti, scali ferroviari ed ex comparti produttivi, edifici storici e semplici marciapiedi, ma anche parchi e enormi assi viari.

Dalla 'Sciura Maria' al City Life

“Dal bagno della 'Sciura Maria' al City Life, dall'appartamentino all'ex Expo, dal piccolo giardino all'Ospedale Sacco”, ci racconta Laura Malguzzi della segreteria della Fillea Cgil Milano. Dietro quei paraventi, sui ponteggi, così come nelle trombe delle scale e nelle case si nasconde una giunga di appalti e subappalti. Migliaia di operai, lavorano gomito a gomito, ma molto spesso non dipendono dalla stessa azienda. La maggior parte sono migranti, vengono per lo più dal Nordafrica. Fanno lo stesso lavoro degli altri, ma non hanno gli stessi diritti.

In alcuni cantieri, soprattutto negli appalti pubblici, o in appalti privati che prevedono un importo rilevante, vengono istituiti dei comitati di legalità e sicurezza, composti da organizzazioni sindacali e gli altri attori del sistema bilaterale, come le scuole edili o le associazioni dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza territoriali. Questo vuol dire che una volta al mese i sindacalisti entrano in quei cantieri. “Così le distorsioni di questo sistema le vediamo tutte - continua Laura Malguzzi -. Mi è capitato un appalto pubblico che riguardava la realizzazione di una scuola, in cui abbiamo passato veramente tantissimo tempo, addirittura mesi, a discutere su chi dovesse pulire i bagni: il committente, l'appaltatore o il subappaltante?  Insomma, il problema lì era chi avrebbe dovuto pagare i costi di pulizia. Figuriamoci cosa succede per i costi della sicurezza, o magari in caso di un incidente sul lavoro”.

“Spesso i lavoratori, molto banalmente, non sanno chi è il loro datore di lavoro, pensano che sia il committente o l'appaltatore. Non sanno neanche a chi rivolgersi in caso di mancato pagamento dello stipendio. Figuriamoci se dovesse succedere qualcosa di grave. Anche noi sindacalisti quando capita un infortunio, spesso abbiamo difficoltà a capire qual è veramente l'azienda coinvolta”. Ci sono stati anche casi in cui di fronte a evidenti carenze in tema di sicurezza, “ci è stato risposto da un capocantiere che non erano fatti suoi, perché il lavoratore che metteva a rischio se stesso e gli altri non era un 'suo' lavoratore”. “Per cui - conclude Malguzzi - ci troviamo davvero un un sistema distorto, che crea delle enormi difficoltà. Quando va bene riguardano il recupero degli stipendi, quando va male riguardano infortuni più o meno gravi”.

La sicurezza è un costo

“Spesso è difficile, se non impossibile, mapparne gli appalti - conferma Andrea Perego, anche lui segretario della Fillea milanese -. Dobbiamo fare gli investigatori per cercare di ricostruire le varie responsabilità, a volte diventa difficile addirittura trovare il nome delle aziende. Faccio un esempio banale: circa 2 settimane fa ci è capitato un cantiere di quattro palazzine, quindi tutto sommato gestibile, in cui i 10 lavoratori presenti lavoravano per 8 imprese diverse. E nessuno di loro aveva un riferimento diretto all'interno della ‘sua’ azienda. Si interfacciano solo con la persona che li aveva messi in contatto con una società di cui non conoscono il titolare. Spesso questa persona è il caporale che gli fa avere, forse, la busta paga a fine mese. Sono situazioni che abbiamo trovato anche in cantieri di una certa rilevanza pubblica”.

E, nella giungla degli appalti, sta tornando pericolosamente in auge il fenomeno dei distacchi fasulli: “Lavoratori assunti da un'azienda che non ha le competenze per fare determinati lavori, e che un minuto successivo alla loro assunzione vengono distaccati presso altre ditte”.

Tutto questo, ovviamente, si ripercuote sulle condizioni in cui lavorano gli operai. Perché, anche nelle piccolissime opere, la sicurezza viene sostanzialmente percepita solo come un costo - continua Perego -. Il mancato controllo degli appalti, e la mancata responsabilità dell'azienda madre, spesso fa sì che anche i corsi di formazione siano fatti in maniera discutibile”. C'è tutto un fiorire di corsi farlocchi, “spesso tenuti da persone che non hanno la competenza per formare gli operai, che tra l'altro sono nella maggior parte dei casi migranti. E che quindi non conoscono bene la lingue né i propri diritti, perché sono arrivati da poco”. Ma nella giungla degli appalti basta avere un pezzo di carta qualsiasi e si continua a lavorare comunque: “Tutto questo è molto pericoloso. È così che nascono i presupposti per le stragi come quella dell'Esselunga di Firenze”.

L'altra faccia della medaglia

Al City Life, il distretto urbano più innovativo della città, nato nel 2015 per l’Expo, e famoso per essere la tana di vari vip, stanno costruendo un nuovo grattacielo. I milanesi chiamano i tre che già ci sono: il “dritto”, il “”curvo” e lo “storto”. Ora sta per nascere lo “sdraiato”.

“Sarà una costruzione innovativa e temeraria - racconta ancora Laura Malguzzi -. Si tratta di una vela con una copertura concava che ha due apici di 22 e 10 piani. Necessita di competenze tecniche mai messe in campo, soprattutto per la gettata di cemento in condizioni estreme”. E quindi necessiterà anche di un'attenzione massima alla sicurezza. Pure perché alcuni operai dovranno lavorare su un piano curvo e molto in alto. Ebbene, il 27 maggio, i due general contractor, insieme al committente e alcune aziende appaltate hanno comunicato che è già programmata la presenza di una società specializzata nell'intervento sanitario e tre coordinatori, uno su ogni lato dell'edificio, oltre a cinque operatori di soccorso già addestrati a muoversi su fune”.

È l'altra faccia della medaglia. Quella buona. “Questo succede quando il committente si sente responsabile e non scarica sulla catena degli appalti quello che succede in cantiere. E quando il committente si sente responsabile, la sicurezza diventa protagonista e si trovano soluzioni efficaci”. “Noi siamo presenti in City Life dal 2012 - spiega Malguzzi -. Quindi ci sono dei rapporti consolidatissimi, e quando parliamo di sicurezza siamo tutti d'accordo. Ma in questo caso, ovviamente, c'è anche una consistente disponibilità economica da parte delle aziende”.

Gli strumenti dei protocolli e dei comitati sono insomma decisivi. “Funzionano perché le aziende imparano a vederci come un interlocutore serio, che ha una certa autorevolezza. Nel ‘cantierino della Sciura Maria’ resti il sindacalista rompiscatole e a volte vieni anche preso a male parole. Questo succede anche in cantieri grandi ma che non hanno protocolli di sicurezza. Se dovesse passare il referendum sulla responsabilità del committente in caso di infortuni subiti da un dipendente della ditta appaltatrice o subappaltatrice, come sindacalista avrei uno strumento in più, uno strumento decisivo”.

Il referendum ti salva la vita

“Il sì con cui si richiede l'abrogazione della norma oggetto del quesito referendario darebbe la possibilità di responsabilizzare tutta la filiera dell'appalto, garantendo maggiore attenzione alla sicurezza e un ruolo più attivo del committente imprenditore che sarebbe difatti chiamato in caso di infortunio o malattia professionale a risarcire il lavoratore o i suoi familiari”. La conferma arriva dal segretario generale della Fillea Cgil Antonio Di Franco, per il quale questa norma “darebbe una risposta concreta ai tanti casi in cui i lavoratori sono rimasti con un pugno di mosche in mano”.

"Immaginiamo il caso di un infortunio o di una malattia professionale di un lavoratore dipendente di un sub appaltatore in un cantiere - spiega Di Franco -, il lavoratore o i suoi familiari non possono richiedere il risarcimento dei danni, non indennizzati da Inail o Ipsema al committente imprenditore principale. Dovranno rivolgersi esclusivamente al subappaltatore, che quasi sempre è una società a responsabilità solidale e che difatti finisce sempre per non pagare perché chiude o non ha i mezzi”.

Quindi “diventa importante dare un segnale chiaro, in questo momento in cui con il nuovo codice degli appalti, introdotto da Salvini, è stato legittimato il ‘subappalto a cascata’. È evidente che ci troviamo di fronte ad un ulteriore frammentazione della filiera del cantiere, che permette di scaricare ancora di più il rischio verso il basso, danneggiando famiglie e lavoratori fragili”. Basti pensare che durante il ‘superbonus’ sono nate ben 25mila srl, “di cui molte ad oggi inesistenti, ed ‘a cascata’ è venuta sempre meno la responsabilità del committente principale, con essa controlli e formazione”. Votare ‘si’, invece, “innescherebbe una dinamica virtuosa, che non solo tutelerebbe i lavoratori e loro familiari, ma che difatti aumenterebbe i controlli nel corso della filiera dell’appalto”.

“Ulteriore aggravante da noi riscontrata nelle varie ramificazioni e sottoinsiemi della filiera del cantiere - conclude Di Franco - la presenza sempre meno tutelata dei lavoratori migranti, poco formati e sempre meno adeguatamente inquadrati. Per la strage di Esselunga ad esempio, chi pagherà i dipendenti del subappaltatore di turno? Figli di nessuno, chi risarcirà le loro famiglie? Scommettiamo che questo rientrerà nel rischio specifico dell’impresa che esenta”.