Dalla relazione della Covip, presentata al Parlamento e relativa all’attività 2022 dei fondi previdenziali, emerge un dato, su tutti: il sistema ha tenuto, confermandosi solido, affidabile e resiliente per il futuro, con una rilevanza cruciale delle tutele previdenziali in un paese che invecchia.

“Il sistema, sul lungo periodo, regge – afferma Michele Carpinetti, responsabile della bilateralità di Filcams Cgil Nazionale – ma necessita di accorgimenti e aggiustamenti che consentano una sempre crescente possibilità di accesso ai fondi per quei lavoratori che rischiano di rimanere precari, senza tutele per lungo tempo, giovani e donne in primo luogo”.

I dati presentati evidenziano infatti come chi avrebbe più la necessità di accedere alle prestazioni previdenziali contrattuali, per svariati motivi, non riesca ad aderirvi. Giovani, donne, liberi professionisti, dipendenti di piccole aziende o lavoratrici e lavoratori intermittenti o part-time difficilmente riescono a garantire contributi continuativi ai fondi previdenziali, compreso quello principale obbligatorio, col rischio di non maturare i requisiti minimi per accedere a una pensione dignitosa a fine carriera lavorativa.

“Andrebbero attuate politiche di tutela del lavoro – prosegue Carpinetti – che contrastassero la precarietà, creando buona occupazione, contrattualizzata, stabile e retribuita dignitosamente”. Poi è davvero il tempo che la previdenza integrativa diventi per una forma di attuazione integrale da parte delle imprese che, tra le altre cose, genera risparmi e non un costo per le stesse.”

I FONDI PENSIONE

Il numero dei fondi, gli iscritti e le posizioni in essere

Dalla relazione della Covip emerge che, alla fine del 2022, le forme pensionistiche sono complessivamente 332 e totalizzano complessivamente 9,2 milioni di iscritti, il 5,4 per cento in più rispetto all’anno precedente. In percentuale della totalità della forza di lavoro, gli iscritti ai fondi pensione sono pari al 36,2 per cento. Gli iscritti ai fondi negoziali sono 3,7 milioni, il 9,9 per cento in più rispetto al 2021. Buona parte della crescita continua a derivare dal meccanismo dell’adesione contrattuale, con il quale i lavoratori vengono automaticamente iscritti al proprio fondo di riferimento per effetto delle previsioni dei contratti collettivi di lavoro che dispongono il versamento di un contributo a carico del solo datore di lavoro.

La composizione degli iscritti per genere resta sbilanciata a svantaggio delle donne che costituiscono solo il 38,2 per cento del totale, percentuale invariata rispetto ai precedenti cinque anni. Il gap di genere ricalca necessariamente la minore partecipazione delle donne al mercato del lavoro, impiegate in lavori poveri, spesso in part time involontari e intermittenti.

Categoria debole anche quella dei giovani: gli iscritti con meno di 35 anni sono solamente il 18,8 per cento del totale, con un incremento di poco più dell’1 per cento rispetto ai cinque anni precedenti. Anche per questi ultimi incide la minore partecipazione nel mercato del lavoro.

Quasi la metà degli iscritti (48,9 per cento) è nella classe intermedia dai 35 ai 54 anni e il 32,3 per cento ha dai 55 anni in su. Per quanto riguarda la provenienza geografica, gli iscritti residenti nelle regioni del Nord Italia sono il 57,1 per cento del totale; valori più bassi e decisamente inferiori alla media si registrano, invece, in gran parte delle regioni meridionali.

Le differenze di partecipazione alla previdenza complementare si riflettono anche sull’entità dei versamenti alle forme pensionistiche, persistendo gap salariali e di continuità lavorativa tra i generi e tra le classi di età nonché tra le diverse aree geografiche del Paese. I contributi annuali versati dalle donne sono inferiori del 20 per cento circa rispetto a quelli degli uomini. I giovani al di sotto dei 35 anni hanno una contribuzione pro capite inferiore di circa il 40 per cento rispetto a quella delle fasce di età centrali (35-54 anni). Nelle regioni del Nord, le più ricche del Paese, le contribuzioni medie sono più elevate, e – nella maggior parte dei casi – al di sopra della media nazionale, con punte che arrivano fino a 3.400 euro, il doppio rispetto a buona parte delle regioni del Mezzogiorno.

“Sarebbe dunque importante – sottolinea ancora il responsabile di Filcams – rivedere la fiscalità legata alla previdenza complementare per facilitare l’inclusione previdenziale dei lavoratori con i redditi più bassi. Da parte nostra, da molti anni, ormai, abbiamo avviato campagne di informazione e promozione del sistema della previdenza contrattuale che hanno portato molti lavoratori ad aderire al fondo di riferimento previsto dal proprio contratto di lavoro avendo il vantaggio di ricevere la parte di contribuzione a carico del datore di lavoro che in assenza di adesione non ci sarebbe.

I rendimenti e i costi

Dalla relazione della Covip emerge ancora che nel corso del 2022 il progressivo acutizzarsi delle tensioni geopolitiche, la persistenza dell’inflazione su livelli storicamente elevati e la conseguente inversione dell’orientamento delle politiche monetarie si sono ripercossi sull’andamento dei mercati finanziari: le turbolenze dei mercati finanziari hanno inciso sui risultati di gestione delle forme complementari, tanto per le linee di investimento a maggiore contenuto azionario quanto per quelle obbligazionarie, con flessioni nei rendimenti che, però, corso di questi mesi del 2023 sono in fase di recupero.

“Per valutare correttamente la redditività del risparmio previdenziale – conclude Carpinetti – non possiamo fermarci all’analisi dei rendimenti di un solo anno, ma si deve fare riferimento a periodi di medio e lungo termine.

Un’ultima considerazione deve essere fatta anche rispetto ai costi di gestione, che depongono decisamente a favore dei fondi negoziali contrattuali per i quali (in un orizzonte temporale di dieci anni), l’Indicatore Sintetico dei Costi (ISC) è pari allo 0,47 per cento. Per i fondi pensione aperti, esso è dell’1,35 per cento. Per i piani personalizzati, lo stesso indicatore è in media del 2,17 per cento.