“Una vittoria del sindacato unitario dei tessili, della Cgil, ma soprattutto del buon senso”. Così Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, e Marco Falcinelli, segretario generale della Filctem Cgil, commentano l’annuncio alla Camera dei deputati, da parte della maggioranza di governo, dello stralcio degli articoli relativi allo scudo per i committenti della moda rispetto al lavoro nero e allo sfruttamento lungo la filiera.

La decisione non è un dettaglio tecnico. Si tratta di una svolta che rimette al centro un principio semplice: nella filiera della moda la responsabilità non può fermarsi all’ultimo anello della catena. La notizia segna il passo indietro del governo rispetto a una norma che avrebbe sollevato i grandi marchi dalle conseguenze di sfruttamento e lavoro nero nei subappalti. Per la Cgil si tratta di un'importante vittoria arrivata al termine di una mobilitazione che ha messo in discussione il provvedimento fin dal primo giorno.

Lo scudo che deresponsabilizzava

La certificazione proposta dal governo, spiegano Landini e Falcinelli, avrebbe prodotto l’effetto opposto a quello dichiarato: non più controlli reali lungo la filiera, ma una deresponsabilizzazione dei committenti, proprio di chi ha maggiore forza contrattuale e capacità di indirizzo industriale. “La scelta di deresponsabilizzare i committenti era sbagliata – sottolineano Landini e Falcinelli – mentre il tema vero resta quello della qualificazione industriale, dei sistemi preventivi e di modelli organizzativi e gestionali condivisi”. In altre parole, prevenire lo sfruttamento prima che emerga nei tribunali o nelle inchieste giornalistiche.

Filiera, lavoro, made in Italy

La battaglia sul disegno di legge Pmi si inserisce in un contesto più ampio, segnato da scandali, indagini e zone d’ombra che hanno colpito anche grandi marchi della moda. Difendere il made in Italy, per la Cgil, non significa chiudere gli occhi davanti alle distorsioni, ma tutelare le aziende serie che rispettano le regole e investono su lavoro regolare, sicurezza e diritti.

Da qui l’apertura a una fase nuova. Il sindacato si dice pronto a confrontarsi con le associazioni datoriali per costruire strumenti condivisi, capaci di colpire sfruttamento e illegalità senza scaricare i costi sui lavoratori più deboli. Un tavolo che, nelle intenzioni, dovrebbe tradurre la retromarcia del governo in politiche industriali vere, non in scorciatoie normative.