Laura è una lavoratrice di trentacinque anni. Un nome di fantasia, per raccontare una storia di “cattivo lavoro” che ha dell’incredibile. Ma nell’Italia del 2024 purtroppo è vera. Accade in un piccolo centro in provincia di Cagliari, all’interno di un supermercato. La donna, madre di una bambina disabile, ha scelto di presentare le dimissioni per la situazione insostenibile che si è venuta a creare. Partiamo dall’inizio.

Il rifiuto del cambio turno

A seguito del passaggio di ramo d’azienda, nel trasferimento del personale Laura viene riconfermata alla sede d’origine: lo prevede la legge 104, a cui accedere per occuparsi della bimba affetta da una grave forma di diabete. Resta quindi in servizio nel suo negozio, che peraltro si trova davanti alla scuola frequentata dalla figlia: la madre è l’unica autorizzata a intervenire con le iniezioni in caso di picchi di glicemia, quindi la vicinanza all’istituto conviene a tutti, le eventuali emergenze si possono risolvere in pochi minuti.

Ecco il racconto di Laura: “È iniziato quando ho chiesto il turno sabato e lunedì, con l’esenzione dalla domenica perché mia figlia aveva una gara regionale dall’altra parte della Sardegna. Il capo mi ha detto: ‘prima viene il lavoro, poi la famiglia’. E mi ha assegnato proprio quella domenica. Io ho chiesto un cambio con una collega di banco, che me l’ha subito accordato, dunque tutti i festivi erano coperti. A quel punto il datore di lavoro ha scritto negli orari che non si può chiedere il cambio turno. Va detto che per la 104 a me spettava l'esenzione dal lavoro domenicale, lo coprivo per andare incontro all’azienda. Quando l’ho fatto presente, il capo mi ha risposto: ‘Puoi toglierti il camice e andare a casa’. Da quel momento non mi ha più parlato”.

Niente stipendio e ferie forzate

Inizia così un accanimento che prende la forma di una vera e propria persecuzione. Alla lavoratrice arrivano lettere di richiamo e contestazione per gli episodi più irrilevanti e banali, perfino virtuosi: le viene contestato quando si reca in un altro reparto ad aiutare la collega con maggiore mole di lavoro, perché non poteva lasciare il reparto di riferimento. Lei si rivolge alla Filcams Cgil per far rispettare i suoi diritti.

Ad assisterla è Emanuelle Spiga, della segreteria della Filcams di Cagliari: “Era l’unica dipendente a non essere pagata – racconta la sindacalista –. Ovviamente, dalla Filcams abbiamo inviato lettere per sollecitare il pagamento, ma il capo ci ha risposto di pensare ai fatti nostri. Poi è stata messa in ferie forzate, fin quando non siamo riusciti a farla rientrare”.

Il capo rifiuta la malattia 

La situazione diventa molto delicata e Laura, davanti a uno scenario di stress effettivo, va in malattia. I fatti sono sempre più incredibili: “Il capo non ha dato neanche la malattia – continua -, cioè ha detto no all'Inps, e dato che la malattia passa dalla busta paga, ha compiuto un’appropriazione indebita. Inutile dire che non ha corrisposto neanche la tredicesima”.

Le dimissioni per giusta causa

A quel punto la lavoratrice ha dato le dimissioni per giusta causa. Con una risposta paradossale, il datore di lavoro ha provato a respingere le dimissioni sostenendo che intendeva rateizzare gli stipendi e che non esiste alcuna condizione di stress. Comunque, con le dimissioni la donna ha perso il lavoro a tempo indeterminato, ma anche il posto nel Comune di residenza e davanti alla scuola della figlia. Ora percepisce l’indennità di disoccupazione, che non è una mensilità piena e va comunque in décalage. E il suo capo? Quando i clienti hanno chiesto notizie di Laura, benvoluta da tutti, ha risposto candidamente: “Può finalmente fare la madre”.

“È un caso grave di discriminazione nei confronti di una donna – commenta Spiga della Filcams -, ma qui c’è anche una doppia lesione: è violato il diritto della mamma e non viene riconosciuta la condizione della figlia diversamente abile”.

Laura: cercherò altro, sono disgustata

La chiusura è nelle parole di Laura: “Ho perso il lavoro, cercherò altro. Dal punto di vista psicologico non potevo continuare a lavorare in quel modo. Come mi sento? Sono disgustata. Un atteggiamento simile mi lascia amareggiata e delusa. Viviamo in una società che dice di voler tutelare le mamme, poi ecco che succede. Non ho ricevuto lo stipendio prima di Natale, non potevo fare i regali ai miei figli. Non aggiungo altro”.