La lotta paga, sempre. Anche nelle aule di giustizia, come in questo caso. Anche quando l’azienda dopo aver violato la legge si oppone a una sentenza sfavorevole, contro ogni evidenza. Anche quando si va a combattere un così fan tutti. La storia dei 14 lavoratori licenziati e oggi reintegrati dai giudici della corte d’appello di Potenza nel loro posto, nella Cmd di Atella (Potenza), inizia nel 2018.

Stiamo parlando di somministrati che hanno continuato a prestare la propria opera nella stessa impresa da anni, alcuni da quattro, altri da sei, altri ancora addirittura da nove. Sempre la stessa azienda e le stesse mansioni, contratto dopo contratto, rinnovo dopo rinnovo, proroga dopo proroga, anno dopo anno. Un uso certamente distorto della somministrazione, a cui bisognerebbe fare ricorso per periodi limitati di tempo, per produzioni limitate.

Fino al 2018, quando è entrato in vigore il decreto dignità che ha cambiato le regole, riducendo a 24 mesi il tetto massimo di utilizzo di questa forma contrattuale precaria. “L’azienda che cosa ha fatto? Probabilmente per paura di essere fuori legge, alla fine del rapporto di lavoro non ha rinnovato i contratti – spiega Emanuele De Nicola, segretario generale Nidil Cgil Potenza -. Così i somministrati sono stati estromessi dall’attività produttiva, sostituiti da altri lavoratori e per due anni rimasti in attesa di un riassorbimento che non è mai arrivato, nonostante gli impegni assunti in sede sindacale, in Confindustria, in Regione e in prefettura”.

Per questo motivo il sindacato degli atipici della Cgil si è rivolto alla magistratura e ha vinto in primo grado: reintegro e pagamento delle retribuzioni arretrate. Una vittoria attesa, visto che si tratta di lavoratori assunti con contratti di somministrazione dai 4 ai 10 dieci anni e che sarebbero dovuti essere stabilizzati molto prima: prestavano servizio presso la stessa azienda in forma precaria da oltre 36 mesi, termine previsto dalle leggi.

La Cmd però non ha accettato la sconfitta e ha presentato ricorso. E l’altro giorno è arrivata la sentenza che conferma reintegro e pagamento degli arretrati.

“La sentenza della corte di appello mette la parola fine alla vicenda, restituendo dignità e serenità a questi lavoratori e alle loro famiglie – prosegue De Nicola -. Un importante tassello nella lotta alla precarietà nella nostra regione che ci auguriamo faccia da apripista rispetto all’uso improprio dei contratti a termine. La Cgil continuerà a essere al fianco dei lavoratori e a impegnarsi affinché si ponga fine a questo uso sconsiderato di contratti precari che non fanno altro che sfruttare la forza lavoro, uccidendo le speranze, la dignità e le competenze di molti dei nostri giovani”.