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Caduto, travolto, investito, deceduto. Verbi d’un participio passato senza più presente né futuro. Tragedie spesso anonime. Prive di volto e anche di nome. Semplici iniziali di un alfabeto dimenticato. Cosa pensava Renato nell’attimo esatto in cui precipitava dal ponteggio? Che futuro aspettava Luana, stritolata a 22 anni da un orditoio. E quali progetti aveva in testa Luca prima di essere travolto da una lastra di marmo? L’anno alle spalle è stato tra i più funesti di sempre. Tre caduti ogni giorno. Una guerra silenziosa che non guarda in faccia nessuno: operai, edili, agricoltori, perfino studenti. Una macabra democrazia tutta italiana. E c’è ancora chi ha il coraggio di chiamarle tragedie, disgrazie, fatalità. Come se si dovesse mettere in conto di uscire di casa la mattina e non fare ritorno. Nell’era del lavoro in un clic si continua a morire in un amen.