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“È tardivo e soprattutto non è strutturale. È frutto dell’idea che questo governo ha del cambiamento climatico: non si può continuare a negarne l'esistenza e affrontarlo in modo transitorio ed emergenziale”. Il segretario generale Fillea Cgil Antonio Di Franco è molto chiaro e diretto nel commentare il cosiddetto protocollo caldo, il testo quadro relativo alle misure da adottare rispetto ai rischi causati dalle emergenze climatiche firmato ieri (mercoledì 2 luglio) dalle parti sociali.
Quali sono le maggiori criticità?
Innanzitutto il testo stabilisce delle linee guida per le contrattazioni. Siamo a inizio luglio, quando si chiuderanno gli accordi sarà tardi. Così si è rimessa la palla in tribuna. Gli effetti del mutamento climatico vanno inseriti in modo organico anche nella programmazione e negli appalti: molte aziende stanno facendo in questo periodo i lavori di manutenzione stradale, sono cose che andrebbero previste fermando i lavori. Vanno bene le ordinanze e le contrattazioni, ma in questo Paese l’emergenza climatica è una cosa certa. Serve una normativa nazionale di riferimento che vieti il lavoro in tutte le situazioni in cui è previsto ‘un rischio climatico alto’, temperature maggiori a 30 gradi e una condizione di umidità relativa maggiore del 70 per cento.
Siamo di fronte a un approccio emergenziale, quindi, che non risponde alle esigenze concrete del settore?
Sì, perché ancora una volta si parte dal presupposto che il mutamento climatico sia un fatto eccezionale, straordinario. Non si pensa al dato oggettivo, che cioè il mutamento climatico ha ormai già determinato i suoi effetti in maniera strutturale. Servirebbe una legge organica che non rincorra l’emergenza, ma che introduca l’obbligo di sospensione di tutti i cantieri, e di tutti i luoghi di lavoro, che presentano un rischio climatico alto. Sia nel protocollo sia nello schema di emendamento questo non c’è. L’unico aspetto positivo è che la cassa integrazione che richiederanno le aziende, sempre su volontà del datore di lavoro, non inciderà sul limite massimo delle 52 settimane del biennio mobile, però è un testo che non aggredisce il tema come sarebbe necessario.
In edilizia c'è anche un problema di programmazione...
Vanno aggiornati i piani operativi di sicurezza in cui è previsto il rischio dello stress termico, sin dalla fase di progettazione con conseguente aggiornamento dei tempi contrattuali di esecuzione. Gli interventi così previsti non danno garanzia che i cantieri si fermino. Diventa importante l’indicazione dei tempi di realizzazione. Basta osservare la manutenzione autostradale e stradale. È mai possibile programmare i lavori sulle strade in settimane in cui già sappiamo che ci saranno temperature che portano a un rischio climatico alto? Stendere l'asfalto in questi giorni significa per gli operai lavorare a più di 50 gradi.
E per quanto riguarda le malattie professionali?
Quando si progettano salute e sicurezza bisogna tener conto delle alte temperature. Bisogna rivedere la progettazione dei tempi di lavoro e quindi dei turni. E la progettazione dei tempi contrattuali, perché molte aziende non chiederanno la cassa integrazione dato che il committente di turno non gli riconoscerà il ritardo e gli farà pagare una penale. Ma a pagare saranno i lavoratori. E poi manca l'aggiornamento delle tabelle Inail per meglio inquadrare l’effetto del caldo negli infortuni e per il riconoscimento di nuove malattie professionali. Bisogna che l’Inail parli il linguaggio del mutamento climatico. E riconosca nuove malattie professionali determinate dallo stress termico in una condizione di sforzo fisico, come in un un cantiere.
La Fillea, da anni, porta avanti una battaglia su questo tema.
È vero. Abbiamo lanciato la campagna “Per costruire si può morire”. Quello dell’edilizia, insieme al lavoro nei campi, è infatti uno dei settori che maggiormente risentono delle temperature in costante aumento. Il cambiamento climatico sta seriamente compromettendo la futura sostenibilità ambientale ed economica a livello globale, comportando, allo stesso tempo, l’esposizione delle lavoratrici e dei lavoratori a ulteriori rischi per la salute e sicurezza durante lo svolgimento delle attività, in particolare per quelle che più direttamente ne subiscono gli effetti di danno. Sia nel protocollo sia nello schema di emendamento si parla di eventi straordinari, dobbiamo invertire il paradigma e riconoscere a tutti i livelli il cambiamento climatico.