È stata brutalmente aggredita mentre svolgeva il proprio lavoro. È successo a una dottoressa della guardia medica di Cessaniti, nel vibonese, in Calabria, durante una visita domiciliare. La donna è riuscita a scappare. L’episodio risale alla notte tra domenica 4 e lunedì 5 febbraio quando, secondo la testimonianza resa ai carabinieri dalla vittima, la dottoressa si è recata a casa di un uomo di 60 anni nella frazione Pannaconi, che lamentava problemi di respirazione e palpitazioni elevate.

Una volta giunta nell’abitazione, tuttavia, la lavoratrice avrebbe trovato l’uomo che, senza alcun segno di sofferenza, l'avrebbe spinta in una stanza buia. Temendo una violenza, la dottoressa ha reagito urlando e colpendo l’aggressore per divincolarsi. In pronto soccorso le è stata assegnata una prognosi di sette giorni.

Sembrano passati anni luce da quando chiamavano eroi le lavoratrici e i lavoratori della sanità. Che restano soli a rappresentare quel che resta del nostro welfare state assediato dai tagli.

"Ennesima aggressione ad una dottoressa di continuità assistenziale, ancora una volta una donna – scrive in una nota Alessandra Baldari, segretaria generale della Fp Cgil calabrese –. Forse la più traumatica in quanto la dinamica con cui si è consumata sottende il pericolo che si sia trattato di un tentativo di violenza sessuale presso il domicilio del paziente”.

Non c’è solo l’intenzione di esprimere vicinanza alla giovane, nelle parole del sindacato, “ma anche tutta la nostra indignazione e preoccupazione per un gesto vile e inquietante su cui attendiamo che gli inquirenti facciano velocemente chiarezza”.

Non è più possibile, scrive la segretaria generale della categoria che difende il settore della sanità, “che il personale sanitario della nostra regione sia esposto ad aggressioni ripetute sia nei luoghi in cui si eroga direttamente assistenza, ma anche sulle ambulanze, presso i domicili, ai CUP o ovunque. È del tutto anomalo e inaccettabile che chi lavora debba provvedere a munirsi di scorta familiare per affrontare un pericolo ipotetico da mettere in conto nell’espletamento di funzioni di cura e assistenza a pazienti che dovrebbero, invece, accogliere l’intervento dei professionisti sanitari come atto salvifico del proprio benessere e della propria salute”.

Si va in corsia d’ospedale, nei pronto soccorso o nelle case di chi ha bisogno di assistenza come si andrebbe in trincea, aspettando l’ineluttabile, che accada un’altra aggressione.

“Sono necessarie maggiori e diffuse tutele per mettere fine a condizioni di rischio incomprensibili riguardo le professioni sanitarie. Questa che sembra una contraddizione in termini, un paradosso, ha origini che affondano in troppi anni di discredito dei sanitari pubblici vittime piuttosto di non essere messi nelle condizioni di dare risposte ai cittadini. Diciamo ‘Basta alle aggressioni’ e non ci basta più la solidarietà e l’indignazione. Riteniamo che chi svolge un lavoro così importante e che sente sulle proprie spalle e sulla propria coscienza la responsabilità dell’altrui benessere debba essere tutelato, fisicamente, moralmente e socialmente. Consideriamo assurde e insensate le polemiche di questi giorni che additano quali ‘imboscati’ i lavoratori e le lavoratrici dichiarati inidonei o parzialmente idonei al ruolo e alla funzione per cui sono stati assunti, con certificati medici specialistici che supportano le decisioni dei medici competenti”.

È un fiume in piena, un j’accuse quello che si legge nella nota di un sindacato che è costretto ad assistere, spesso impotente, agli effetti perversi del mancato investimento sui servizi pubblici e delle continue illazioni di politici e amministratori che troppo spesso, per favorire la logica della privatizzazione, sparano alzo zero su quelle lavoratrici e quei lavoratori che dovrebbero invece mettere in condizione di lavorare degnamente. "Sarebbe consigliabile, piuttosto che sollevare dubbi e sospetti generici sui ‘grandi numeri’, provare a comprendere che nelle nostre strutture sanitarie l’età media elevata delle lavoratrici e dei lavoratori dovuta al lungo blocco delle assunzioni, insieme a carichi di lavoro inadeguati, mancati riposi, assenza di sollevatori meccanici per pazienti, sommati alle statistiche delle patologie che esistono mediamente nella popolazione (non risulta che i sanitari abbiamo un DNA diverso o sistemi immunitari rinforzati), sono tutte cause che concorrono a creare fragilità o inidoneità al ruolo delicato e impegnativo da svolgere”.

"In sintesi – si conclude la nota di Alessandra Baldari – sarebbe molto più utile provare a comprendere quali siano le condizioni di lavoro, dove insistono i maggiori disagi e quali conseguenze una cattiva qualità di date condizioni riverbera sui pazienti una assistenza insoddisfacente che, a volte, genera insofferenza e violenza. Intendiamo sottolineare che non saremo mai paladini di chi ha perpetrato abusi o ha approfittato di posizioni funzionali convenienti per conseguire altri scopi, quelli vanno certamente corretti. Alimentare però sospetti diffusi danneggia la già difficile condizione di chi svolge un lavoro ‘usurante’, impegnativo e di grande responsabilità fondato su un affidamento fiduciario ineludibile e lo fa ancora con mezzi insufficienti, poche risorse e un salario inadeguato. Siamo pienamente convinti che vada sostenuto e difeso il Servizio Sanitario Pubblico, essenziale per garantire il diritto universale alla salute, per farlo non si può che partire dalle donne e dagli uomini che erogano i servizi e le prestazioni, tutelandone la sicurezza e la salute, migliorando le condizioni di lavoro e i salari ed evitando di alimentare narrazioni negative che allontaneranno definitivamente molti dall’intraprendere professioni bellissime, almeno qui in Calabria”.