Il 3 giugno 1944, poche ore prima della Liberazione della capitale da parte degli Alleati, i principali esponenti del sindacalismo italiano firmano il Patto di Roma che decreta la rinascita del sindacato libero. La Cgil (Confederazione Generale Italiana del Lavoro) unitaria nasce dal compromesso tra le tre principali forze politiche italiane e il Patto di Roma è siglato da Giuseppe Di Vittorio per i comunisti, Achille Grandi per i democristiani, Emilio Canevari per i socialisti.

Meno di un anno dopo, il 28 gennaio 1945, si apre a Napoli il Congresso della Cgil delle zone liberate (il Congresso si chiude il 1° febbraio. Prima e dopo l’appuntamento napoletano vanno segnalati altri due importanti incontri: il convegno che si tiene a Roma il 15-16 settembre 1944 in cui si discute della vita interna della Cgil e del rapporto con i partiti e il Congresso delle Camere del lavoro dell’Italia settentrionale - Milano, 24-25 luglio 1945 - che integra i vertici della Cgil con i rappresentanti del Nord).

A Napoli vengono eletti i primi Segretari generali della Confederazione generale italiana del lavoro: Di Vittorio per i comunisti, Grandi per i democristiani, Lizzadri per i socialisti.

“Ci sono dei momenti, e questo è per me uno di questi, - ricorderà Luciano Lama salutando la sua Cgil - nei quali si è indotti a ripensare al proprio passato. Sono ritornato con la memoria a quel lontano 9 novembre 1944, quando, armi alla mano, ci impadronimmo a Forlì della sede dei sindacati fascisti e inopinatamente io venivo nominato segretario della Camera del lavoro. C’erano in me ancora confuse speranze di una radicale e drastica resa dei conti con i responsabili del fascismo e della guerra, la convinzione che quella fase unitaria sarebbe presto terminata e avremmo potuto, d’un colpo solo, realizzare quei valori di giustizia, di libertà, di pace tanto agognati e discussi nelle lunghe giornate di vita partigiana. Ma poi venne la grande scoperta del sindacato e dei suoi protagonisti, Di Vittorio, Grandi, Lizzadri, nella gelida sala del Museo di Napoli in quel febbraio del 1945”.

I tre segretari - che sono anche i leader delle tre maggiori correnti che compongono la Cgil (comunista, democristiana e socialista) - fissano gli obiettivi che andranno perseguiti a guerra finita: riforme strutturali dell’economia, partecipazione dei lavoratori al controllo e alla gestione delle grandi imprese, riforma agraria, una incisiva legislazione sociale.

Affermava nell’occasione Giuseppe Di Vittorio:

Permettetemi, amici e compagni, di accennare al progetto di Statuto che vi è stato presentato, e che dobbiamo discutere ed approvare in questo Congresso. In sostanza, lo Statuto traduce in norme precise i principi unitari realizzati col Patto di Roma. Lo Statuto normalizza in disposizioni precise e concrete il principio della democrazia interna sul quale è fondata la nostra Confederazione, con il diritto per tutte le minoranze di esprimersi e far valere la propria influenza in tutti gli organi dirigenti; tutte le cariche sindacali sono elettive senza nessuna eccezione; tutti hanno diritto di esprimersi e di contare per quello che effettivamente contano; al voto segreto e diretto si aggiunge il sistema della proporzionale pura in modo da garantire a tutte le minoranze di non essere in nessun caso escluse o sommerse dalla maggioranza. Lo Statuto definisce infine la struttura organizzativa orizzontale e verticale della nostra Confederazione; disciplina le norme delle organizzazioni sindacali e indica la necessità della disciplina sindacale, disciplina necessaria, non per soffocare iniziative locali, ma soprattutto per dare quel coordinamento e mantenere quell’unita di indirizzo necessari a dare maggiore forza all’azione di insieme della Cgil. 
Vorrei accennare molto brevemente ad alcune deficienze fondamentali che vi sono nel nostro movimento. La più grave, sulla quale desidero attirare la vostra attenzione, è quella dei quadri. Oltre venti anni di fascismo ci hanno lasciato il vuoto, non si è formato nessun organizzatore perché quella che il fascismo chiamava un’organizzazione sindacale era un carcere; quelli che in tale regime erano gli organizzatori, non erano per lo più che dei burocrati corrotti. Senza capaci organizzatori non possiamo progredire. Noi siamo già 1.300.000, saremo tra poco 4 milioni: non abbiamo dirigenti sufficienti per i nostri Sindacati, per le nostre Federazioni, per le nostre Camere del Lavoro. Bisogna rimediare col solo mezzo possibile: formando nuovi quadri e avendo coraggio, avendo audacia. I nuovi dirigenti, i nuovi organizzatori sindacali si possono formare attraverso l’attività, attraverso le lotte, sviluppando la vita democratica dei sindacati. Altro difetto dei nostri sindacati: quello di un certo burocratismo per cui si crede che tutte le questioni possano essere regolate con lo scambio di lettere. Il sindacato deve promuovere discussioni, assemblee, far partecipare i lavoratori alla vita sindacale, deve essere la espressione libera della massa. È attraverso una vita sindacale così concepita, non attraverso il burocratismo che si debbono formare e si formeranno i nuovi dirigenti. Abbiate fiducia nei giovani, spingeteli avanti! Abbiamo bisogno di nuovi dirigenti, e questi non ci possono essere forniti che dalla gioventù! La gioventù è generalmente scettica per le delusioni gravissime che essa ha sofferto nel fascismo. Dimostriamo tutta la fiducia che noi riponiamo nei nostri giovani! Un altro difetto essenziale dei nostri sindacati è l’assenza delle donne dal lavoro sindacale. Noi abbiamo una percentuale elevata di donne nei servizi, negli uffici, ma non vediamo le donne nei comitati direttivi dei sindacati, non vediamo le donne nelle commissioni esecutive delle Camere del Lavoro, delle Federazioni Nazionali, non le vediamo a questo congresso, che non è degli uomini lavoratori, ma è il congresso di tutti i lavoratori italiani, e le donne sono una parte importante dei lavoratori italiani che debbono partecipare integralmente alla vita ed alla nostra attività sindacale. Noi dobbiamo fare sempre nostre tutte le rivendicazioni dei giovani e delle donne; noi dobbiamo affermare il principio che «a uguale lavoro, uguale salario» in tutti i settori della produzione, senza differenza alcuna. 
Concludo, compagni. Noi abbiamo gettato le basi di una grande opera, abbiamo costruito un grande edificio: la nostra Cgil. Noi abbiamo la coscienza di aver dato a questa organizzazione le basi essenziali per un suo sviluppo illimitato. La nostra organizzazione è costruita sulla democrazia, sulla libertà di espressione, sul rispetto reciproco di tutte le opinioni politiche e di tutte le convinzioni religiose. Col voto segreto e diretto e col sistema proporzionale, ogni corrente, pur piccola, ha la possibilità di valere e far valere le proprie opinioni in tutti gli organi dirigenti della Cgil. Non vi è nessuna ragione onesta, nessun motivo fondato, nessun elemento obiettivo, perché una parte qualsiasi di lavoratori italiani, manuali o intellettuali, si organizzi fuori, si separi dalla Cgil. Oggi, che nella Confederazione chiunque trova garantita la propria libertà, formare altri sindacati in concorrenza con la Confederazione, quale che sia il pretesto politico, ideologico, religioso che si invochi, è un’opera di divisione ingiustificata che obiettivamente serve i nemici del popolo e danneggia tutti i lavoratori indistintamente. Questa è la casa di tutti i lavoratori italiani. Ciascun lavoratore in casa sua si deve sentire a proprio agio. Questa è la casa di tutti, questa è la casa del lavoro. Naturalmente, come in tutte le collettività fondate sul principio della democrazia, possiamo avere in questo o quell’altro sindacato o federazione una maggioranza e delle minoranze, grandi e piccole. Niente di male: c’è qualche cosa, però, che anche su questo terreno che ci accomuna. Le maggioranze sappiano che nella Cgil non c’è posto per intolleranze e tanto meno per la tracotanza; nessuna maggioranza deve pretendere o tentare di soffocare qualsiasi minoranza. La maggioranza sappia essere fraterna e ben accetta da tutti. Le minoranze sappiano essere vigili, attive, non si scoraggino; portino il loro contributo sempre più efficace allo sviluppo della nostra organizzazione e pensino che la minoranza di oggi può essere la maggioranza di domani.
Compagni congressisti, noi abbiamo la coscienza di aver servito una grande causa; noi concepiamo il nostro lavoro come un’alta, una nobile missione. Nessun lavoro, nessun sacrificio, nessun sforzo ci farà arretrare dal compiere fino all’ultimo il nostro dovere, assistiti dalla convinzione di servire la più elevata, la più affascinante delle cause: quella che tende a dare maggiore giustizia e maggiore benessere ai costruttori di tutte le ricchezze sociali: ai lavoratori.

Oggi come ieri. Sempre dalla stessa parte. La parte giusta, quella del lavoro, quella delle lavoratrici e dei lavoratori.