Il 14 ottobre 2021 ricorre il centenario della nascita di Luciano Lama e la Cgil ha deciso di ricordarlo con diverse iniziative. Lama è stato uno dei più prestigiosi sindacalisti della Storia d'Italia e per ben 16 anni segretario generale della Cgil, un partigiano, un apprezzato uomo politico e “un fedele servitore delle istituzioni” come lo ricordò l'ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro.

Nato a Gambettola (Forlì) e laureato in Scienze politiche, dopo la Resistenza, fu scelto dal Comitato di Liberazione provinciale per dirigere la Cgil di Forlì. Mai scelta si rivelò più lungimirante; se ne accorse Giuseppe Di Vittorio, storico leader della Cgil, che già nel 1947 lo volle con sé, giovanissimo, nella segreteria confederale. Poi un percorso importante: Segretario generale dei chimici nel 1952 e dei metalmeccanici nel 1957, nuovamente in segreteria confederale e dal 1970 segretario generale della Cgil. Sono soprattutto gli anni della segreteria confederale quelli che abbiamo approfondito, ma senza dimenticare che la biografia sindacale di Lama segue il corso di tutta la storia della prima Repubblica e ne incarna i valori migliori.

Attraverso Lama possiamo leggere in controluce la storia del Paese: dal contratto mezzadrile che firmò nel 1945 come segretario della Camera del Lavoro di Forlì, al referendum sul contratto dei chimici del 1954 che rappresentò uno dei primi momenti di democrazia sindacale; dalle lotte degli elettromeccanici del 1960-62 che segnarono il risveglio operaio alla grande stagione dell'Autunno caldo e dei Consigli di fabbrica; dall'unità sindacale dei primi anni Settanta che visse da assoluto protagonista, all'accordo sul punto unico di contingenza nel 1975; dalla fermezza con la quale schierò la Cgil a difesa dei valori democratici contro lo stragismo di destra e il terrorismo di sinistra, alla contestazione che dovette subire all'Università di Roma nel 1977; dalla strategia dell'Eur del 1978 per affrontare la crisi economica, all'infinita battaglia sulla scala mobile.

Il punto centrale della sua segreteria generale fu sempre quello di offrire al Paese, a partire dal Congresso della Cgil di Bari del 1973 – il momento sindacale più bello della mia vita, dichiarò - un modello di sviluppo alternativo basato sulla piena occupazione e sullo sviluppo del Mezzogiorno. Processi che Lama lesse in divenire e cercò di affrontare con le difficoltà di una generazione che affondava le sue radici nel Novecento fordista, mentre lo sviluppo si incamminava in una strada di innovazione epocale che stiamo ancora percorrendo. 

Ricordare Lama significa, dunque, riflettere sul Paese ma anche sul sindacato, sui suoi valori, sul suo ruolo per la democrazia. Significa discutere di unità sindacale, del valore e dell’originalità del livello confederale, di democrazia in una duplice accezione: la democrazia nel sindacato e la democrazia italiana. Senza questa dimensione non si capirebbe fino in fondo la scelta di ergere la rappresentanza sociale come barriera del terrorismo. La storia della conquista della democrazia era stata la storia dell'antifascismo e della Resistenza e i lavoratori erano stati l'anima e il corpo della Resistenza. La Costituzione, la democrazia erano la conquista più preziosa per la quale avevano combattuto, di conseguenza i lavoratori nelle ore più buie della Repubblica hanno sempre difeso democrazia e Costituzione.

Il rapporto fra conquiste del lavoro e loro trasposizione in conquiste generali per tutti i cittadini è una costante di tante riforme di quel periodo. Emblematica la riforma sanitaria che nasce e trova forza da una grande mobilitazione operaia per la salute in fabbrica, fondata sul concetto “la salute non si paga e non si compra”.

Un sindacato sempre aperto alle novità, pensiamo alla stagione dei delegati e dei Consigli di fabbrica, ma che conservava nel livello confederale e nelle strutture territoriali il cuore della sua originalità: portare a sintesi e riunificare esigenze diverse, centrifughe e qualche volta configgenti di un mondo del lavoro complesso e in continuo divenire. È questa la vera anima della Cgil che ha sempre voluto salvaguardare. Lama voleva un sindacato autorevole e in costante collegamento con le lavoratrici ed i lavoratori, capace di tutelarne gli interessi ma sempre operando, forte della sua autonomia, per il rafforzamento di tutta la società e della democrazia repubblicana, che rappresentava il fine e non il mezzo della sua azione.

Confederalità e autonomia erano gli assi portanti del suo pensiero sindacale, così come il tema del valore sociale del lavoro. Si poteva sbagliare nei tempi o nel merito di proposte e iniziative, ed è successo, ma questo concetto non era derogabile. Così come era irrinunciabile la non negoziabilità dei principi di fondo. Un sindacato, dunque, capace di un interesse nazionale perché l'emancipazione del lavoro andava di pari passo con lo sviluppo di tutto il Paese: economico, sociale e morale.

Ricordare Lama, infine, significa anche ricordare la scelta europeista della Cgil, poiché fu tra i protagonisti del progressivo avvicinamento prima e all’adesione alla Ces poi. Questo percorso, è stato analizzato ed attualizzato in numerosi convegni nazionali, il primo, il 31 maggio, di carattere storico; il secondo, il 6 luglio, sui temi dell’antifascismo e della democrazia; il 1° ottobre nella sua Romagna sui temi della sicurezza nel lavoro; il 21 ottobre ad Amelia, dove è stato per anni sindaco. Altre iniziative sono in programma, a partire da quella che nelle prossime settimane svolgerà lo Spi nazionale e tante altre che si sono già svolte in tutta Italia. Di Lama, uomo delle istituzioni, ragioneremo invece, il 14 ottobre con un’iniziativa al Senato di cui è stato vicepresidente.

Infine, Luciano Lama era anche un uomo del fare concreto, dirlo oggi lo fa sembrare quasi un difetto ma non è così, è un grande pregio per un sindacalista. Molti di noi lo hanno conosciuto poco, altri hanno solo letto la sua storia ma, abbiamo raccolto tanti racconti di compagni e compagne che descrivevano un uomo credibile, sia nelle vittorie che nelle sconfitte, un uomo pieno di passioni e di coraggio, che incuteva anche soggezione ma comunque molto amato dal suo popolo.

Basti ricordare, utilizzando una frase dell’introduzione di Walter Veltroni al libro di Pasquale Cascella, realizzato poco prima della sua scomparsa, per capire di chi stiamo parlando “quando arriva l’autunno della propria esperienza, bisogna riuscire a non cedere al rimpianto del passato, a non chiudersi nella malinconia… ma guardare con fiducia al frutto del seme coltivato per una vita e scoprire che matura un bel raccolto”.