Il 24 marzo scorso la Commissione XI della Camera ha deliberato l’avvio di una “Indagine conoscitiva sulle nuove disuguaglianze prodotte dalla pandemia nel mondo del lavoro”, indagine che dovrà chiudersi entro ottobre 2021.

Queste indagini conoscitive in realtà non sono veri e propri programmi di ricerca ma cicli di audizioni: la Commissione chiede a varie istituzioni ed organizzazioni nonché a singoli esperti (come recita il sito della Camera “qualsiasi persona in grado di portare elementi utili”) se sono in grado di rispondere appropriatamente alle questioni poste nel programma dell’indagine conoscitiva. Queste audizioni possono risolversi in uno stimolo positivo quando inducono i soggetti auditi a mettere a fuoco informazioni e conoscenze già in loro possesso e che, in assenza di una richiesta esplicita, possono rimanere latenti o non sistematizzate.

Il tema è indubbiamente di rilievo.  Il programma posto alla base dell’indagine conoscitiva è, come dire, onnicomprensivo e tendenzialmente aperto a un dibattito infinito. Non solo: sembra già abbozzare, nell’impianto generale, linee di risposta: “molte delle nuove disuguaglianze sono destinate a rimanere per lungo tempo… il contagio da Covid-19 è stato maggiormente diffuso fra i gruppi sociali più deboli… chi ha grandemente beneficiato della crisi (giganti del web, imprese con ruolo nevralgico nella filiera della salute…) ha potuto capitalizzare sul dramma degli altri.. questo rende gli immensi guadagni realizzati dai super-ricchi ancora più odiosi agli occhi di molti”. E, in aggiunta, il giudizio sull’efficacia della politica economica in Italia, in risposta alla crisi, non è certo lusinghiero: “molti interventi sono stati messi in atto in ritardo e non sono stati in grado di raggiungere in modo adeguato le persone che ne avevano più bisogno”.  In sostanza il “Programma dell’indagine” riflette ampiamente (troppo) il punto di vista più usuale, più facile, quello che sottende in genere la discussione che avviene nei media.

Le questioni in realtà sono abbastanza complicate sia a livello macro che a livello micro. A livello macro i dati sulla dinamica della disuguaglianza di frequente collidono con i dati sulla sua percezione. Diverse analisi hanno evidenziato che nel lungo periodo successivo alla crisi della Prima repubblica gli indicatori della disuguaglianza in Italia sono risultati tendenzialmente stabili, soprattutto se si scorpora l’effetto dell’immigrazione (cfr. Brandolini, Rosolia, Ristagno macroeconomico, distribuzione dei redditi e classi sociali della Seconda Repubblica, Accademia dei Lincei, Roma, 12 dicembre 2018). Sugli effetti della pandemia uno dei primi studi empirici dettagliati e approfonditi, la cui sintesi è stata pubblicata nel Rapporto Inps Tra emergenza e rilancio pubblicato nell’ottobre scorso, concludeva (pag. 85) che, secondo gli usuali indicatori (Gini e rapporti interquintilici), gli interventi previsti dai primi due decreti (CuraItalia e Rilancio) “hanno consentito di mantenere sostanzialmente invariati i livelli di variabilità e disuguaglianza tra i redditi limitando l’aumento della disuguaglianza che si sarebbe verificato in assenza di interventi”.

Il protrarsi della pandemia indubbiamente può aver cambiato le carte in tavola e meriterà analisi e approfondimenti, non credo disponibili nei tempi ristretti dell’Indagine conoscitiva. Gli interrogativi, a questo livello, sono molti: non solo quello, classico e canonico, se la disuguaglianza sia aumentata ma, soprattutto, la sua relazione con il malessere sociale. Il quale può aumentare benissimo anche indipendentemente dalla disuguaglianza per l’effetto principe dell’impoverimento. O può svilupparsi perché cambia nel tempo la valutazione sociale di quale sia il livello (e le motivazioni) di disuguaglianza accettabile.

Forse più interessanti potranno essere i dati che, sotto lo stimolo dell’Indagine, potranno essere prodotti e raccolti a livello micro, identificando i segmenti di popolazione che sono stati maggiormente colpiti dalle conseguenze economiche della pandemia e mettendoli in relazione con le misure di politica economica adottate. Per diverse ragioni (l’urgenza, la (in)disponibilità di informazioni, necessità organizzative di vario genere, le disparate pressioni categoriali) i tanti programmi di intervento attivati, riguardanti sia i lavoratori che le imprese, possono aver centrato solo parzialmente il bersaglio assegnato come pure possono aver premiato segmenti più ampi di quelli che effettivamente si voleva intercettare. Sulle possibilità e sui limiti delle azioni di politica economica, quando si vogliono basate su informazioni accurate sui singoli destinatari (Isee o fatturato etc.) e tempestivamente realizzate mediante procedure automatiche di identificazione, verifica dei requisiti ed erogazione, c’è moltissimo da valutare, riflettere e imparare. Cosa possiamo ragionevolmente pretendere dalla burocrazia dell’algoritmo e come occorre attrezzarla perché essa sia effettivamente efficace?

Bruno Anastasia è esperto di analisi del mercato del lavoro