Il sequestro di 13 supermercati a Carmelo Lucchese inquisito per mafia riportano in primo piano l’attenzione sull’illegalità in economia. Quanto nelle aziende, c’è un problema di criminalità organizzata. L'economia della città quanto è infiltrata?

Non diciamo nulla di nuovo, purtroppo: la nostra è un'economia fragile e non solo a causa della pandemia. Già prima era in una condizione di crisi, anche perché sottoposta allo stress della criminalità organizzata che esercita un vero e proprio potere, il potere mafioso che condiziona il tessuto economico di gran parte della provincia. Non esiste un settore esente, immune dal condizionamento mafioso. Naturalmente, dove ci sono i soldi questa presenza è più attiva. Negli anni della crisi cominciata nel 2007 il tessuto economico ha subito ripercussioni pesanti, sia nel manifatturiero che in quello delle costruzioni, è quindi evidente che i clan hanno spostato i loro interessi verso settori più redditizi. Quello della grande distribuzione sicuramente è uno di quelli che non ha conosciuto crisi, c’è la possibilità di fare girare soldi, è possibile lavare quelli provenienti da affari illeciti. Il sequestro dei 13 supermercati di Lucchese coinvolge 400 lavoratori e lavoratrici, è emblematico. L’infiltrazione della mafia oggi nei settori del commercio, della grande distribuzione e dei servizi, come lo è stato per anni nelle costruzioni o in quello della sanità, o nel ciclo dei rifiuti, costituisce purtroppo una “normalità” malata. Non solo, ma essendo venuti meno pezzi di produzione importanti, come il manifatturiero o le costruzioni la mafia si è riorientata verso appunto i nuovi settori.

Le vittime di questo sistema sono due: la legalità e il lavoro.

Come sempre è avvenuto. La mafia è un fenomeno criminale ma in Sicilia diventa potere, è un modo di esercitare il potere in modo alternativo a quello dello Stato, una forma di potere che si fa Stato e antistato. Un potere economico e anti-economico. Questo potere si esercita scaricando sulle persone il prezzo, e allora ecco il ricorso al lavoro nero, al lavoro sfruttato. Storicamente la mafia esercita il proprio potere, a danno dell’economia legale e del lavoro. I lavoratori sono vittime due volte, di imprenditori poco illuminati e di imprenditori che fanno affari con la mafia. Esiste una doppia convenienza.

Il nuovo Codice antimafia è stato un avanzamento importante nella lotta alla mafia. C’è stata un'elaborazione che affonda le proprie origini in Pio La Torre, ma anche nell’esperienza e nelle pratiche che in questi anni abbiamo portato avanti nella gestione di imprese prima sequestrate e poi confiscate. Resta ancora molto da fare, perché il nuovo Codice antimafia deve essere pienamente applicato. Nella prima versione assegnava alle prefetture il compito di istituire i tavoli provinciali, quando Salvini divenne ministro dell’Interno emanò una circolare che rendeva facoltativi quei tavoli, depotenziandoli. Insomma, si è persa una battuta nell’applicazione della norma nello spirito della legge di iniziativa popolare. Il nostro Paese ha una normativa avanzatissima rispetto ad altri, però un'applicazione lentissima. Faccio un esempio. A Palermo qualche anno fa avevamo, Cgil Cisl e Uil, stilato un protocollo con il Tribunale per l’istituzione di un ufficio sindacale che doveva entrare in funzione ogni qual volta ci fosse il sequestro di un’azienda, così da entrare subito in relazione con l’amministratore giudiziario incaricato e avviare tempestivamente le procedure per tutelare il lavoro e possibilmente rilanciare nella legalità l’azienda. Quel protocollo, di fatto, non è mai stato applicato. Insomma da un lato abbiamo norme avanzatissime, dall’altro la applicazione che va veramente a rilento depotenziandone gli effetti. Bisogna insistere, affinché lo spirito che prima ha portato alla raccolta di firme, poi alla legge di iniziativa popolare, infine al Codice antimafia possa vivere anche nella prassi quotidiana.

Cosa si può e si dovrebbe fare per i lavoratori e le lavoratrici dei punti vendita sequestrati a Lucchese?

Innanzitutto bisognerà dialogare con gli amministratori giudiziari, ma il Tribunale ancora non ci ha comunicato chi sono, per provare a superare insieme questa fase di incertezza. I lavoratori e le lavoratrici sono davvero preoccupati, vengono da anni di condizioni di lavoro difficili e non sanno cosa aspettarsi. Contemporaneamente occorre provare a costruire soluzioni, anche innovative, che possano garantire occupazione e futuro. Penso ad esempio che possa essere utilizzata la normativa relativa ai "workers buy out": attraverso di essa i lavoratori di aziende sottoposte a sequestro possono costituirsi in cooperativa e insieme agli amministratori, al Tribunale, alle organizzazioni sindacali, costruire le condizioni di sviluppo in legalità di queste aziende. Così sarebbero finalmente libere dal condizionamento della mafia.