L'idea di fondo è che la donna che decide di ricorrere all'interruzione volontaria di gravidanza vada fermata. Ad esempio offrendole sedute di psicoterapia, oppure facendo entrare nei consultori associazioni pro-vita, magari anche finanziandole con fondi pubblici. Sembra questo l'obiettivo del nuovo “Fondo per la vita nascente”, introdotto in Umbria con una mozione delle destre che governano la Regione (solo 4 voti contrari in consiglio regionale). Un fondo pensato e costruito sul modello di quanto già creato in Piemonte, con un intento dichiarato esplicitamente: "Prevenire le interruzioni volontarie di gravidanza", attraverso "interventi volti a rimuovere gli ostacoli di natura economica e sociale che impediscono la costituzione e lo sviluppo di nuove famiglie". E il diritto delle donne all'autodeterminazione sul proprio corpo, principio cardine della 194? Non pervenuto. 

Criminalizzare le donne

Per Barbara Mischianti, segretaria regionale della Cgil dell’Umbria, l’atto approvato rischia di “criminalizzare” le donne che scelgono di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza. "Siamo sconcertate dalla deriva ideologica nei confronti della libertà delle donne che sta portando avanti la Regione Umbria a guida leghista. Una crociata contro il diritto di autodeterminazione, una crociata contro le istituzioni laiche come i consultori, un tempo fiore all’occhiello questa regione”. 

Porte aperte ai pro-life

Nell'atto approvato dal consiglio regionale umbro non c'è traccia di temi quali contraccezione gratuita, educazione sessuale e affettiva, libera somministrazione di RU486. “Avremmo voluto leggere di campagne informative riguardo al parto in anonimato, di assunzioni e potenziamenti strumentali nei consultori – continua Mischianti - ma siamo in Umbria, dove nel 2023 si aprono le porte dei servizi pubblici alle associazioni pro-life e alle loro attività ideologiche. Come Cgil - conclude la segretaria - saremo al fianco dei movimenti delle donne, che in questa regione si sono già mobilitati per respingere l’attacco delle forze politiche conservatrici e i loro continui tentativi di rimettere in discussione il diritto all'autodeterminazione conquistato dalle donne”. 

Precarietà e autodeterminazione

E proprio i movimenti delle donne, riuniti in Umbria nella rete RU2020, non ci stanno: “Questo è l’ennesimo tentativo, da parte delle forze politiche conservatrici, di ostacolare il percorso che le donne intraprendono nei servizi pubblici previsto dalla legge 194/78”, scrivono in una nota. “A nulla vale sostenere che si tratta di politiche volte a eliminare gli ostacoli di natura economica che impediscono alle donne di scegliere liberamente se portare avanti o meno una gravidanza, tutte le statistiche ci dicono che la scelta di abortire è meno legata a problemi economici e più alla precarietà del lavoro e alla legittima scelta di autodeterminare le proprie vite”.

Asili nido dimenticati

Secondo la rete RU2020, “se realmente si volessero perseguire politiche volte a incentivare la natalità, le scelte su come investire i soldi pubblici ricadrebbero sull’introduzione, anche a livello regionale, di forme di sostegno per le donne che lavorano e si punterebbe sull’aumento dei posti negli asili nido (che sono stati invece dimenticati come destinatari di fondi del Pnrr) e nelle scuole dell’infanzia e su misure che incentivano la riduzione del lavoro precario e sottopagato”. 

Ghiglione: mappatura sui territori

Regioni come il Piemonte e come l'Umbria stanno facendo un'opera di “apripista” in Italia a un progetto di limitazione dell'autodeterminazione delle donne, che le destre stanno cercando di realizzare a livello internazionale. Ne è convinta Lara Ghiglione, segretaria nazionale della Cgil, secondo la quale le associazioni antiabortiste, in concerto con rappresentanti delle istituzioni compiacenti, stanno conducendo una vera e propria “crociata per cercare di acquisire spazi e consenso”. “Come Cgil nazionale – afferma Ghiglione - stiamo monitorando e denunciando tutte le situazioni nelle quali si tenta di colpevolizzare le donne che scelgono liberamente di ricorrere all'interruzione volontaria di gravidanza, considerando queste modalità una vera e propria violenza psicologica. Stiamo anche conducendo una mappatura di tutti i territori – continua la segretaria Cgil  per cercare di monitorare i casi in cui l'obiezione di coscienza rischia di ostacolare la libera scelta”. “Il problema della natalità non si risolve facendo pressione psicologica sulle donne – conclude Ghiglione - ma garantendo occupazione di qualità, aumentando i salari e assicurando servizi pubblici a sostegno delle famiglie. Tutto il resto è becera propaganda oscurantista”.