Questa è la prima tappa di un viaggio, che ci auguriamo non breve, tra storie di inclusione, resistenza e disobbedienza civile. Storie di persone, istituzioni, associazioni e sindacati che compongono un'Italia diversa. Perché a fare da contrappeso al razzismo strisciante che trapela dalla comunicazione e dagli atti istituzionali del governo giallo-verde non c'è solo l'accoglienza stroncata a Riace. C'è anche un'Italia che resiste, giorno dopo giorno, all'odio contro i migranti riversato sui social network da migliaia di account, veri o falsi che siano. Un'Italia che dice no. Un pezzo di Paese che spesso non ha voce, che non trova quasi mai spazio nei talk show televisivi, nei "trend topics", o sulle prime pagine dei quotidiani. Eppure c'è, e si dà da fare. Sempre nel rispetto dei principi della Costituzione.

Chi è cresciuto a Saluzzo o nei suoi dintorni conosce il Foro Boario soprattutto perché è qui, lungo i viali o nei piazzali tutt'intorno, che si vanno ad azzardare le prime retromarce con gli istruttori delle scuole guida. Il traffico è lontano, gli spazi ampi e vuoti. Alle spalle, in collina, c'è il borgo trecentesco che si staglia sul Monviso, coi suoi vicoli acciottolati, le chiese e gli eleganti palazzi nobiliari. Davanti, oltre la tangenziale, solo campi coltivati con cura, punteggiati ogni tanto da cascine in pietra. Qualche anno fa, però, lo spazio di manovra ha cominciato a ridursi di parecchio. Chi si trovava a passare da queste parti, al tramonto, era costretto a zigzagare per evitare incidenti. Lungo il viale, sotto gli alberi, decine e decine di migranti in bicicletta sferragliavano lenti per raggiungere quella che a poco a poco si era trasformata in una vera e propria bidonville. I braccianti, africani sub-sahariani per lo più, tornavano dal lavoro della raccolta della frutta per riposarsi sotto tende da campeggio, o in vere e proprie baracche provvisorie, fatte di assi traballanti, teloni e lamiera arrugginita. Un accampamento abusivo in piena regola, per una manodopera migrante in continuo aumento.

BRACCIA PER L'AGRICOLTURA
Saluzzo e il suo territorio, infatti, sono un'area agricola di pregio e da sempre luogo di lavoro stagionale. Qui, a primavera, si raccolgono piccoli frutti, come lamponi, ribes e mirtilli, in estate le pesche, in autunno (e da qualche anno pure d'inverno) le mele. Sessant'anni fa erano i montanari e gli studenti a fare la stagione, dopo sono arrivati i meridionali, poi gli albanesi e i polacchi. Ora è la volta dei “mori”, come li chiamano da queste parti. E sono tanti: circa 5mila nel 2018, secondo le stime, molto simili, di Confagricoltura e Coldiretti locali. Sono circa il 40% del totale dei 12mila lavoratori agricoli del Saluzzese.

Nel 2018, nei frutteti, 5.000 migranti

L'accoglienza diffusa sul territorio, però, non riesce più ad assorbirli. I braccianti con una lunga storia di lavoro in questi frutteti vengono perlopiù ospitati dalle stesse aziende agricole, sopratutto da quelle più grandi che sono in grado di attrezzarsi con posti letto o dormitori. Gli altri, i nuovi arrivati, s'erano accampati tutti qui, sotto gli alberi, tra i rifiuti. Quello che molti di loro chiamavano già “Guantanamo” è cresciuto a dismisura a partire dal 2013, quando c'è stato un picco di produzione e dunque una maggiore richiesta di braccia. La Caritas, nel corso degli anni, ha anche allestito diversi campi per cercare di porre rimedio alla crisi. Ma nell'estate del 2017 la situazione s'era ormai fatta esplosiva.


Il Foro Boario nel 2017 

L'EX CASERMA FILIPPI
Nel maggio del 2018, all'inizio della nuova stagione di raccolta, il comune di Saluzzo ha quindi deciso di prendere di petto il problema. E lo ha fatto insieme alla Cgil, alla Flai Cuneo, e alla Caritas locale. “Prima avevamo allestito un villaggio di container, ma non bastava - ci racconta il sindaco Mauro Calderoni, eletto nel 2014 grazie al sostegno di 6 liste civiche -. Quando siamo diventati proprietari della ex Caserma Filippi, che si trovava proprio alle spalle della baraccopoli spontanea, abbiamo deciso di trasformarla in un dormitorio per migranti. Con letti a castello, docce, bagni, punti fuoco per cucinare e un piazzale per ritrovarsi”. Così, il 3 giugno, è partito il progetto P.A.S. (Prima accoglienza stagionali), affidato alla cooperativa sociale Armonia. Per tutta la durata della stagione 2018, fino al 29 novembre, presso l'ex caserma hanno soggiornato 516 braccianti, mentre in 418 hanno usufruito dei servizi diurni (docce, wc, cucina, elettricità...). In tutto, quasi mille persone sono state accolte dal volontari della Cgil e della Caritas che gli hanno permesso di dormire, lavarsi, cucinare e socializzare.


Videoreportage realizzato da Flai e Cgil Cuneo

“Non potevamo lasciarli in quello stato di abbandono - racconta Davide Masera, segretario generale della Cgil Cuneo -. Allora abbiamo provato a trovare una soluzione, a fare qualcosa di concreto. Proprio come facevano le Camere del lavoro a inizio secolo. Abbiamo dato delle risposte, non solo per quanto riguarda il lavoro, ma anche per le esigenze materiali di sopravvivenza. Ci siamo schierati, insomma, e all'inizio la nostra scelta non è stata capita da tutti. Ma non ci siamo fermati, stando sul campo. E i numeri ci danno ragione”.

IL SINDACATO DI STRADA
In effetti, in questi mesi, oltre all'accoglienza coordinata da due mediatori culturali, il sindacato ha fatto il suo mestiere. E anche bene. In sei mesi sono stati registrati ben 1.772 contratti, 1.602 direttamente all'interno della ex caserma Filippi, mentre nel 2018 la Flai cuneese ha ottenuto un aumento di circa 500 tessere.

"In sei mesi abbiamo registrato 1.772 contratti"

Sono state anche aperte 90 vertenze. “In realtà abbiamo registrato più di 400 irregolarità, ma molti braccianti non hanno voluto denunciare il loro datore di lavoro. Erano spaventati, parecchi hanno subito pressioni perché non s'avvicinassero troppo ai sindacati - spiega Danila Botta, della segreteria Cgil -. In questa zona, infatti, più che col lavoro nero abbiamo a che fare con il lavoro grigio. Ci sono tantissimi casi di contratti di 4 mesi con al massimo 30 giornate lavorative. Insomma abbiamo potuto osservare da vicino un piccolo spicchio di una situazione molto più diffusa”. “Dal punto di vista umano - continua - abbiamo invece toccato con mano la disperazione degli ultimi. Persone alle quali non viene riconosciuto il diritto di esistere. Non è stato semplice conquistare la loro stima, perché sono poco abituati ad avere qualcuno che si occupi di loro senza chieder nulla in cambio. Hanno faticato a crederci. Ma creare un rapporto di fiducia è stata la nostra più grande vittoria”.

UNA RETE DI SALVATAGGIO
“Una rete di sana fiducia è proprio quello che manca a queste persone - conferma Virginia Sabbatini della Caritas Saluzzo -. I braccianti che abbiamo ospitato si muovono spesso dal nord al sud dell'Italia e anche all'estero. Seguono la geografia della raccolta della frutta. Circa la metà di loro torna ogni anno a Saluzzo per la stagione, poi vanno verso il Meridione, a San Ferdinando, a Rosarno, o nelle campagne del sud della Spagna". Ma nella ex caserma Filippi c'erano soprattutto i nuovi arrivati, quelli che erano stati espulsi dai sistemi di accoglienza di tutta Italia: "Dal 2014 in poi abbiamo osservato un crescita netta dei titolari di protezione umanitaria. Gente che non ha alcuna rete di appoggio, persa nel flusso migratorio”. Il coordinamento tra sindacato, istituzioni locali e associazioni è stato “determinante” anche secondo Maria Letizia Chiotti della cooperativa Armonia, che ha gestito il dormitorio: “Un grande ruolo lo ha avuto il volontariato. La Cgil, ad esempio, ha messo in campo un gruppo nutrito di volontari che hanno permesso di coprire tutte le fasce della giornata e i week end. Quando la nostra cooperativa ha chiesto aiuto ha sempre trovato una risposta”.

UN MODELLO CHE FUNZIONA, E DA' FASTIDIO
L'esperienza del P.A.S., però, non è solo un'esperienza umanitaria. “La verità - spiega ancora il sindaco Calderoni - è che è stata una scelta obbligata, l'unica possibile. Questo territorio ha 60 anni di storia frutticola alle spalle, e ha già visto diverse migrazioni. Il settore, tra l'altro, è cresciuto ancora negli ultimi anni, sia per produzione che per ettari di coltivazione e impianti. Quindi la manodopera residente non basta più, e dobbiamo accogliere i lavoratori stagionali”. Si tratta dunque di “dare supporto al settore primario della nostra economia”.

"È stata una scelta obbligata, l'unica possibile"

Certo “abbiamo sfidato il senso comune, ma il comparto agricolo, anche se a denti stretti, è stato costretto a confermare di aver tratto vantaggio da questa soluzione”. “Queste persone lavorano e pagano le tasse - conferma Davide Masera -. I contratti sono aumentati e, grazie al nostro lavoro, ora c'è molta più legalità”. Eppure, ciò che salta agli occhi è che dei 23 comuni della zona interessati dagli stagionali della frutta, e dei 48 in cui vivono i migranti, solo 4 (Saluzzo, Lagnasco, Costigliole Saluzzo e Verzuolo) si sono fatti carico di creare strutture di accoglienza in container o edifici adibiti ad hoc.

Forse perché, nell'Italia del governo giallo-verde, quello del P.A.S. di Saluzzo appare come un modello che può dare fastidio. “Ci sono i leghisti, i 'cattivisti', che ci attaccano perché non vogliono alcuna accoglienza, e ci sono gli 'ultra-buonisti' che ritengono che la nostra operazione non sia abbastanza, e la definiscono addirittura indegna - continua il sindaco -. In realtà, è stato un lavoro artigianale, volontaristico. In cui ognuno si è occupato di quello che gli competeva e si è creato un'equilibrio che funziona”. “Tanti fatti e poche parole: è stata questa la nostra scelta. Non certo una decisione buonista, ma un'operazione sindacale”, afferma ancora Danila Botta. “C'è una fetta di popolazione che è spaventata, e una parte degli interventi dei politici locali sono stati proprio finalizzati ad alimentare la paura del diverso, etichettando questi lavoratori come irregolari, e potenziali delinquenti - continua Virginia Sabbatini della Caritas -. Ma abbiamo anche incontrato tante persone che hanno portato qui le loro capacità professionali e il loro impegno per dare una mano. È un'Italia che accoglie e che, secondo me, non è una minoranza, ma una maggioranza silenziosa. Persone che fanno molto e parlano poco.”

LA SPADA DI DAMOCLE
Anche per questo il modello P.A.S.verrà riproposto a primavera, per la stagione della raccolta 2019. Quella del Foro Boario non è stata un'esperienza estemporanea, insomma. È stato già istituito un tavolo permanente con tutti gli attori in campo per progettare il nuovo dormitorio. Sui buoni propositi, però, incombe una vera e propria spada di Damocle. È il decreto Salvini, che rischia di mettere fuori gioco una grossa fetta della manodopera migrante regolarizzata grazie al progetto di accoglienza. Secondo le stime della Cgil, oltre il 30% dei 5.000 braccianti sub-sahariani che lavorano nei campi del Saluzzese sono in Italia grazie a un permesso di soggiorno per ragioni umanitarie. Permessi che probabilmente non verranno rinnovati a causa del Dl sicurezza. Si tratta di circa 1.500 lavoratori che saranno espulsi dal mercato del lavoro e che diverranno prede facili per il lavoro nero. “Ci sarà meno manodopera regolare e più irregolari - assicura Davide Masera - perché qualcuno la frutta dovrà pur raccoglierla. Queste persone saranno in balia del sommerso”.

"Il Dl sicurezza ora mette a rischio 1500 lavoratori regolari"

“Il comparto agricolo qualche domanda se la dovrà fare - conferma il sindaco Calderoni - qui non parliamo solo di accoglienza, ma anche di sviluppo economico del territorio e di un mercato che rischia di andare in crisi”. Tra l'altro a maggio ci saranno le elezioni comunali, su cui forse peseranno le scelte fatte sui migranti. “Vada come vada - conclude il sindaco -. Bisogna pur andare a letto con la coscienza pulita e poter guardare in faccia i propri figli senza abbassare lo sguardo. Ma io sono tranquillo, non ci saranno problemi. I proprietari delle aziende agricole votano e sanno tutelare i loro interessi. Al di là della becera propaganda dei leghisti, infatti, a Saluzzo si lavora tanto, e non c'è mai stato conflitto sociale”.

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Il fotoreportage di Pietro Battisti