PHOTO
Non possiamo dimenticare quanto abbiamo vissuto nella durissima esperienza del Covid-19. In quel dramma abbiamo riscoperto il valore della sanità pubblica, con i suoi medici, gli operatori, le infermiere e gli infermieri. L’opinione pubblica ha anche scoperto il valore di parole come domiciliarità, prossimità, medicina del territorio. A essere colpiti e ad aver sofferto di più sono stati i nostri bambini e i nostri anziani.
Abbiamo toccato con mano quanta differenza fa nella vita delle persone avere servizi come gli asili nido, la scuola a tempo pieno, i centri diurni per le persone diversamente abili, l’assistenza domiciliare e strutture adeguate per le persone anziane. Abbiamo scoperto che siamo soggetti fragili, interconnessi gli uni agli altri.
Abbiamo scoperto che la salute non è solo un diritto individuale, ma un bene comune che può essere promosso da una comunità in salute. Un bene comune e un bene globale che ci lega a ogni parte del mondo e che ci fa sentire ogni parte del mondo prossima a casa nostra, perché se il vaccino non raggiunge le parti povere e lontane, se il virus non si stronca in ogni parte del mondo, anche noi siamo e saremo sempre esposti al rischio del contagio e della vulnerabilità.
Abbiamo visto squadernato il volto delle diseguaglianze nella salute e constatato quanto esse incidono sulla qualità della vita e sulla dignità delle persone. Ci siamo augurati con forza e convinzione: prima di tutto la salute! Bene primario della nostra vita individuale e base per costruire una società più giusta e umana. La salute come ingrediente centrale per realizzare il fondamentale articolo 3 della nostra Costituzione, quello che vuole realizzare l'uguaglianza di fatto, superare ogni forma di discriminazione e costruire una democrazia inclusiva.
Da qui bisogna ripartire, da quello che abbiamo imparato nell'esperienza del Covid-19. Nulla sarà più come prima, nulla dovrà essere più come prima, ci siamo detti tante volte, abbiamo sentito dire dai nostri governanti. E invece oggi ci troviamo con il rischio di un tracollo del nostro sistema sanitario pubblico, universalistico e solidale. Rischiamo che esso diventi un sistema sanitario pubblico povero, per i poveri.
Le cifre sono note e confermano non solo l'allarme, ma il dovere di combattere. Il 5,2% delle famiglie italiane versa in condizioni di disagio economico per le spese sanitarie. Si scaricano sulle spalle delle famiglie 1 miliardo di spese per farmaci, due miliardi per visite specialistiche e prestazioni diagnostiche. Mancano 30 mila medici e 250 mila infermieri.
Come ben denuncia il documento della Cgil, siamo il Paese in Europa che investe meno in sanità pubblica, con i salari di medici e infermieri, anche qui, tra i più bassi d’Europa. Bisogna considerare la salute come benessere delle persone e della società, un grande “bene comune”, un investimento economico, sociale e culturale che deve vedere la partecipazione anche delle forze economiche e sociali.
Non la sanità privata a scapito di quella pubblica e destinata alle persone ricche. Ma un soggetto pubblico autorevole che programma con la partecipazione di tutti i soggetti sociali e che diventa “sollecitatore di responsabilità” verso il bene salute da parte delle forze economiche e sociali, in un’ottica integrata, dove la regia è del soggetto pubblico.
Bisogna vincere la sfida della “medicina di comunità”, realizzare le Case di comunità quale luogo d’integrazione dei servizi di presa in carico delle persone, attivando la medicina di iniziativa, il lavoro di équipe tra professioni, la valorizzazione dei servizi sociali, la promozione della partecipazione attiva dei cittadini che devono diventare protagonisti della propria salute, promuovere l'impegno di tutte le forze economiche oltreché delle famiglie, del volontariato e del terzo settore.
Bisogna costruire la “solidarietà tra le generazioni”. La salute dei nostri bambini e la salute dei nostri anziani devono essere l’anello forte di una solidarietà tra generazioni. A partire dalla considerazione che la vita umana è un ciclo di vita, scandito nelle sue varie stagioni: l'infanzia, l'adolescenza, la maturità, la vecchiaia. Ciascuna stagione della vita deve essere pienamente vissuta, valorizzata nelle sue peculiarità e nelle sue differenze.
Bisogna costruire “una società in salute” per evitare il paradosso che si guariscono le persone malate e poi le si riporta nell'ambiente che le ha fatte ammalare. Bisogna tradurre in politiche concrete i tanti studi che sono stati effettuati sui “determinanti della salute”: quanto incide l'ambiente, quanto incidono le condizioni di lavoro, quanto è rilevante la salute nei luoghi di lavoro, quanto è importante la formazione delle persone, quanto è importante essere donna e uomo e dunque assumere finalmente la “medicina di genere” come fondamentale paradigma per costruire un diritto davvero universale alla salute.
La “società in salute” e la salute come “bene comune” e “diritto individuale” è il traguardo che dobbiamo porci ora, la battaglia da condurre con determinazione e passione perché vinca davvero il valore della dignità umana. Perché la nostra diventi una “società umana”.
Livia Turco è presidente della Fondazione Nilde Iotti