Il cuore della riforma della giustizia non è affatto la separazione delle carriere dei magistrati, quella di fatto esiste già sin dall’approvazione della Legge Cartabia che limita il passaggio da un ruolo all’altro a una sola volta e cambiando distretto. Sono le statistiche a dimostrarlo, meno dell’1% dei magistrati passa dal ruolo requirente a quello giudicante.

Il cuore della legge, ed è per questo che si è resa necessaria una riforma costituzionale, è l’attacco ad uno dei principi fondanti della Costituzione del ’48: la separazione e l’equilibrio tra poteri dello Stato.

In verità l’intero apparato riformatore di Meloni e del suo governo si è dato l’obbiettivo di scardinare quell’equilibrio a favore di una crescita esponenziale del potere dell’esecutivo a discapito di quello legislativo e di quello giudiziario. Basti pensare alla riforma del premierato che aleggia come un corvo sul Parlamento. In ogni caso lo slittamento di potere dal Parlamento al governo si è – almeno in parte - già realizzato. La Carta del ’48 attribuisce al Parlamento centralità nell’assetto istituzionale della Repubblica attribuendogli il potere legislativo, peccato che le riforme elettorali sull’altare della governabilità abbiano sempre più scisso i voti dei cittadini e delle cittadine dai seggi parlamentari attribuendo così maggioranze pressoché blindate ai governi.

Peccato anche che la riduzione dei parlamentari e le modifiche dei regolamenti di Camera e Senato abbiano ulteriormente ridotto ruolo e capacità legislativa del Parlamento.

L’ultimo baluardo dell’equilibrio costituzionale dei poteri è rimasto, appunto, il potere giudiziario che non solo ha il compito di applicare le leggi in modo imparziale, ma siccome “tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge”, alla magistratura spetta anche il compito di sottoporre alla legge anche il potere politico.

Ecco allora, per Meloni, la necessità di riformare la magistratura per sottrarle il controllo di legalità sulla politica. Quella Nordio, infatti, non è riforma della giustizia, che avrebbe assai bisogno di esser riformata per renderla veloce ed efficace, ma riforma – appunto - della magistratura, per renderla meno indipendente, meno autonoma, più debole di fronte ai potenti e al potere.

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Lo scorso 25 ottobre si è tenuta a Roma l’Assemblea generale dell’Associazione Nazionale dei Magistrati, aperta alla partecipazione anche di non magistrati, sono state illustrate le ragioni del No al referendum confermativo della Riforma Nordio, reso indispensabile visto che è stata varata con il voto di meno dei due terzi dei parlamentari.

“Il lavoro dei magistrati trova senso e legittimazione nei principi della Costituzione, che garantisce una giustizia autonoma, indipendente e al servizio dei cittadini. L’uguaglianza di tutti davanti alla legge è il fondamento della libertà e dei diritti di ciascuno, soprattutto dei più deboli”. È quanto si legge nel Documento varato all’unanimità dall’Assemblea dell’Anm, che prosegue affermando: “L’Associazione Nazionale Magistrati non può restare inerte di fronte a una riforma che altera l’assetto dei poteri disegnato dai Costituenti e mette in pericolo la piena realizzazione del principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. La riforma in discussione incide sul cuore stesso della funzione giurisdizionale. L’Alta Corte disciplinare, per la quale rimangono oscuri i criteri di formazione dei collegi, è uno strumento di condizionamento dei magistrati; la separazione delle carriere indebolisce il giudice e avvicina il pubblico ministero al potere esecutivo, minando la comune appartenenza alla giurisdizione; il sorteggio dei componenti togati del Consiglio Superiore della Magistratura svuota la rappresentanza democratica e altera gli equilibri in favore della componente politica. Una magistratura forte con i deboli e debole con i forti non garantisce più la tutela effettiva dei diritti, né l’equilibrio tra i poteri dello Stato, condizione imprescindibile della democrazia”.

La conclusione non può che essere una: “Dire NO alla riforma significa difendere la Costituzione, l’equilibrio tra i poteri e la libertà di tutti”.

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