La valanga di insulti all’indirizzo di Carola Rackete e di chi la difende era inevitabile e inarginabile. Ma non deve spaventare perché in gran parte non corrisponde a un reale sentire, come testimonia l’impennata degli accessi e reazioni sulla pagina Facebook della Cgil nazionale ogni volta che si pubblica un post sui temi dell’immigrazione. Neanche la cancellazione dell’articolo 18, con tutte le conseguenze che ha portato nel campo dei diritti del lavoro, ha mai suscitato una simile attenzione misurabile in migliaia di commenti e interventi.

Per leggere correttamente questi dati e dar loro la giusta interpretazione dobbiamo avere ben presente che esistono algoritmi e sistemi attivati su parole chiave o hashtag che intervengono e rispondono automaticamente su Facebook e sugli altri social. Non sono persone ma bot, dello stesso genere degli assistenti virtuali come Siri o Cortana, intelligenze artificiali più o meno avanzate, spesso programmate sulla logica “if/then” (se/quindi) per intervenire nelle discussioni e sembrare a tutti gli effetti persone reali. Vengono usate per diffondere messaggi studiati e pensati per toccare le corde emozionali e condizionare l’opinione pubblica.

In politica, nell’era post-crisi, funziona bene la “corda” del risentimento che Lega e M5S, così come un po’ tutti i populisti, agiscono per attivare comportamenti e reazioni. Indagini e studi hanno hanno dimostrato come siano stati usati nella campagna sulla Brexit, nell’elezione di Trump o in quella di Bolsonaro. Dobbiamo quindi essere consapevoli che oggi il marketing politico, così come quello commerciale, si è in gran parte spostato sui social, dove vengono attivate queste “risorse” capaci attraverso like, condivisioni e interventi di far apparire un consenso o un dissenso non reali e di manipolare l’opinione pubblica.

Sui social poi – e questo è un secondo aspetto che non va assolutamente sottovalutato nella lettura dei fenomeni – il livello dell’aggressione verbale è sempre molto più elevato che in una discussione tra persone che si guardano. Proviamo a pensare a come ci sentiamo e reagiamo di fronte a un ristoratore che ci porta il conto scarabocchiato su un fogliettino di blocco note. Quanti di noi riescono effettivamente a chiedere una ricevuta o uno scontrino fiscale? Guardare in volto le persone ci rende responsabili e attiva l’empatia. Se le aggrediamo con una frase violenta, l’espressione del loro viso insieme al contatto visivo ci rendono un feedback che blocca gli eccessi. Cosa che sui social non accade. Diventa facilissimo quindi augurare la morte, uno stupro, un incidente. Dilagano gli hate speech e la violenza libere dal filtro della razionalità.

Tornando al tema dei migranti e all’aggressione social sulla pagina della Cgil nazionale, dobbiamo avere ben presente che il nostro è un Paese da dieci anni in recessione, con il potere d’acquisto che scivola sempre più verso il basso e le retribuzioni ferme al palo, i diritti del lavoro progressivamente indeboliti così come la sanità e l’istruzione pubbliche, con un numero crescente di famiglie che non riescono a dare un futuro ai propri figli mentre una parte della popolazione si è arricchita e ostenta lussi, barche, auto, piaceri. La leva del risentimento si attiva facilmente. C’è risentimento sociale, rabbia. Non importa verso chi, ma la rabbia cresce e cavalcarla, indirizzarla, usarla non è difficile. È quello che fanno bene le attuali forze al governo che da anni investono su queste strategie comunicative.

Questo ci esime dal reagire? Ovviamente no. Se la partita con l’opinione pubblica si gioca sui social, sui social dobbiamo giocarla. Con le nostre regole e i nostri valori ovviamente. Limitarci ad osservare e interpretare, anche con le giuste chiavi di lettura, senza però intervenire potrebbe essere pericoloso. Non solo per noi, ma più in generale per quel sistema valoriale che ci orienta e che è alla base della nostra Costituzione democratica.

Esmeralda Rizzi è responsabile social della Cgil nazionale